Domenica
22 aprile 2007 al teatro Astra di Vicenza si sono conclusi i corsi della
Scuola di Teatro di Ossidiana. Gli allievi del primo e secondo corso
hanno presentato, ad una attenta e affollata platea, gli studi di alcune
commedie di Carlo Goldoni rivisitate in chiave a volte ironica, altre
comica, altre ancora musicale, sempre seria, sotto la guida di Carlo
Presotto, Titino Carrara, Franca Pretto e Gianni Gastaldon. Abbiamo
poi raccolto le impressioni di alcuni di loro.
Giorgia
(primo anno).
Il cuore batte a mille, un’energia inebriante pervade ogni muscolo.
Concentrazione, radici salde a terra, ginocchia disponibili, filo teso
sulla testa, un bel respiro e si apre il sipario...
Ai miei occhi si è aperto un mondo nuovo. Un’atmosfera
nella quale adoravo tuffarmi ogni giovedì sera, ma che mi accompagnava
tutta la settimana, animata da un gruppo di persone mosse dagli intenti
più disparati, ma unite, nel loro abito bianco, dalla stessa
voglia di scoprire ed inventare. Un modo di interagire con lo spazio
e con gli altri, con consapevolezza, rispetto, accoglienza e forte curiosità.
Un modo di pensare libero da schematismi, pregiudizi e preconcetti,
estremamente attivo, critico e stimolante. Un modo di sentire che lascia
fluire le emozioni, che ti accompagna verso la parte più intima
e profonda del tuo essere. Un modo di muoversi, di prendere coscienza
del proprio corpo, delle sue possibilità espressive, lontano
da modelli e impostazioni.
Libertà. In fondo non si tratta di un mondo nuovo, ma di un modo
nuovo di interpretare la realtà, di interagire con gli altri,
di guardare in noi stessi.
A mente libera. E così puoi cogliere e assaporare un mondo dai
mille colori e dalle mille sfumature, nel quale puoi dare libero spazio
alla fantasia e all’immaginazione, nel quale puoi perderti senza
timori e senza timori puoi ritrovarti.
Eva
(primo anno)
Da questo corso ho imparato tantissimo. Ha aperto la mia testa e la
mia anima essere davanti a tante persone e dover provare a fare cose
che ti sembrano strane. Lasciarti andare e poi emozionarti, per te,
per quello che trasmettono le altre persone, capire cos’e` un
gruppo e che tutti sono indispensabili per la riuscita del lavoro....
di me nessuno si e` mai interessato molto, per cui se facevo qualcosa
bene o male a nessuno importava, mentre ora che faccio parte di un gruppo
anche quello che faccio io e` importante per la riuscita dello spettacolo....
A me questo corso ha fatto bene e anche adesso mi stimola a provare
sempre, a buttarmi a giocare di piu` nella vita. Ringrazio infinitamente
per tutto quello che mi è stato insegnato fino adesso, e spero
di poter far parte del gruppo del secondo anno per imparare di più
ed emozionarmi ancora come quando ero dietro la tenda del palco aspettando
che si aprisse.
Claudio
(primo anno)
Centro Culturale Ossidiana, sì l’avevo sentito nominare.
Che fosse a Vicenza lo sapevo. Lo immaginavo in città, magari
in centro, certo non al limitare della campagna vicentina verso Cavazzale.
Quel pomeriggio di presentazione della scuola di teatro, per me primo
anno, mi guardavo e ci guardavamo intorno incuriositi per vedere chi
arrivava, con chi dovevamo condividere un’esperienza nuova e particolare,
ma soprattutto chi fossero i nostri “maestri” in questo
cammino teatrale. Beh, li ho conosciuti in quest’anno ed ho avuto
modo di apprezzarli come persone prima, le quali non rimarcano il loro
ruolo, e poi come maestri di un cammino teatrale, che ti sanno accompagnare,
consigliare, riprendere e che alla fine li consideri amici con i quali
puoi condividere e ti senti sicuro. Cosa dire a Carlo, Gianni, Franca,
Titino? Grazie!!
E i compagni di avventura? Con loro, anzi con le compagne di avventura,
visto che eravamo in soli due maschi, ho condiviso l’emozione
dell’impaccio per la prima conoscenza, le emozioni delle prime
recite, del conoscersi sul palcoscenico, del muoversi al ritmo del proprio
corpo in sintonia col gruppo. Quello che ho apprezzato di più
è stata la totale accettazione di tutti verso ognuno del gruppo,
se pur con età ed esperienze di vita differenti. Nel gruppo si
era solo “gruppo di teatro” e ci siamo sostenuti gli uni
con gli altri. E’ finito il primo anno, ci sarà il seguito
al secondo: mi aspetto un’esperienza altrettanto positiva.
Grazie ai miei compagni Eleonora, Marta, Elisabetta, Sabrina, Piero,
Giorgia, Silene, Margherita, Eva.
Marta (primo
anno)
... Sono forse sufficienti pochi minuti sul palco per sentirne la mancanza?...
Continuo a rivedere quei momenti come fossero vitali. Ero libera su
quel palco, da tutto e da tutti. Da me stessa. Ed era molto bello. Forse
per qualche momento sono stata un po’ più grande. Sono
un po’ cresciuta. Perchè finalmente ero forte... Mi avete
insegnato qualcosa di diverso dalla messa in scena. Mi avete insegnato
ad ascoltare le emozioni, a catturarle, a conservarle. E’ una
cosa immensa. Io non sono un’attrice, sono salita sul palco per
la prima volta e per poco tempo. Ma in quegli attimi ho ritrovato quello
che abbiamo vissuto tutti insieme durante quest’anno... Ed ero
più sincera, vera e trasparente quando ho recitato di quanto
io non sia nella vita reale. E’ paradossale: essere se stessi
prendendo per gioco la forma di un personaggio, e poi passare i giorni
fingendo di essere più forti di quello che si è. Allora
il teatro è più reale della realtà. Almeno per
un po’ ti libera dalla paura del giudizio altrui...
Andrea
(secondo anno)
Cotti al punto giusto, sfiniti, ma rifiniti. Chi raccoglie le forze,
chi chiede supporto alla propria memoria, chi cerca energia negli altri,
chi si guarda dentro. E sorride.
La prova generale ci lascia basiti. “Il palcoscenico - così
il ns. Maestro – è uno spazio di generazione, ma anche
di dispersione dell’energia”. Ce ne rendiamo conto. Personalmente,
me lo conferma il mal di capo, che cresce inesorabile. Tra una scena
e l’altra, mi appoggio con la fronte alla sbarra di ferro incardinata
sulla colonna tra le quinte e il sempre presente Matteo mi chiede se
sia pronto per il lettino del medico... ma da paziente. Si alimenta
un filo di sana incertezza generale: i metronomi sono titubanti, i distratti
tengono duro. Poi i dialoghi in camerino, lo straparlare per calmierare
la tensione. Qualche esercizio in cerchio nel prato. Raffaella decide
di far massa, come un parafulmine scarica tutto a terra, Francesca coccola
un cucciolo di cocker, che si è avventurato in mezzo al cerchio
sul prato. Qualcuno si è defilato. L’arco si sta caricando.
Prima di noi entrano in scena i piccoli maestri, tutti disciplina e
entusiasmo: hanno costruito un flusso che sa di piacere-in-movimento.
Quando la testa della piramide si adagia come una foglia tra le braccia
dei compagni, si capisce che ci sono. Già. La densità
emotiva sale. Ma adesso è quella buona. Mentre ricevono i meritati
applausi, nessuno di noi riesce a trattenersi: siamo dietro le quinte
e saltiamo come cavallette, balliamo seguendo la musica del loro finale.
Tutti cercano gli occhi, da una parte all’altra del palcoscenico,
nascosti dietro quei diaframmi neri, che ci proteggeranno ancora per
pochi secondi.
Il brusìo in sala si fa silenzio. Ecco! Un’apnea alta diffusa
accompagna le prime note del minuetto, trattiene i movimenti e le nostre
voci timide. Poi l’introduzione del narratore Marino e l’incipit
di Loretta, che è il sospiro di sollievo di tutti. E’ partita
bene. In più di un’occasione dobbiamo spezzare il ritmo
delle battute, perché il pubblico amico condivide e mostra di
gradire. Sfarfalliamo, narcisetti. Senza indugi. Cristiano metronomo
trattiene la nostra foga prima che diventi locomotiva e ci ricorda che
la percezione del suono in un ambiente più ampio può ingannare.
Mi capita di fare il passaggio sotto il palco, di correre tra i camerini,
di risalire dalla parte opposta. Chissà cosa è successo
nel frattempo? Tutto e niente. Lo vedo nelle espressioni dei piccoli
maestri, che sono lì, appollaiati in pochi centimetri quadrati
sulle scale e tra le quinte. Facendomi strada a fatica, tocco qualche
mano e molte teste. Siamo tutti in scena. Restituisco la magia del contatto
qualche istante dopo, alla prima battuta. La stanno dicendo loro. Tanto
le scene corali sembravano interminabili da metabolizzare nel corso
delle prove, soprattutto la domenica pomeriggio - forse anche a causa
del vino che Franca ha proposto per i nostri pranzi - tanto durano un
istante ora. Quando siamo tutti insieme, scottiamo: per un momento siamo
attori.
Chiediamo al pubblico di occuparsi della nostra cena. Lui accetta con
entusiasmo. E Titino sorride.
Francesca
(secondo anno)
Due righe per raccontare un corso di teatro. riduttivo chiamarlo “corso”.
Due righe per dire che ci sono persone come Titino e Carlo, che leggono
i tuoi occhi e non è necessario parlare perché hanno già
capito molto più di quanto tu pensi, o incontrare Franca e Gianni,
i timonieri della nave che, sicuri, ti conducono lungo la rotta... Due
righe per dire che è bello abbattere i muri mentali che costruiamo
con tanta cura nella realtà, perché il teatro è
fantasia... o no? Perché cercare di assumere caratteristiche,
sentimenti, emozioni che, apparentemente, non sono parte di noi è
finzione... o no? Forse è anche esplorarci dentro per andare
a cercare “quelle” cose che abbiamo accuratamente riposto
in un angolino ben nascosto della nostra personalità e che non
amiamo mostrare. Per poi prendersi in giro fino a riderne di gusto!
Spiegare in due righe che teatro è accorgersi degli altri, rispettare
i loro tempi, uscire per un attimo dal nostro recinto e bussare con
discrezione a quello dei tuoi compagni, per cercare una strada comune
da percorrere e provare a superare insieme gli ostacoli, le incomprensioni.
E riderne ancora di gusto! Raccontare in due righe come sia possibile
condividere tutto quel tempo con delle persone mai viste, con vite così
diverse dalla tua, così diversi da te. Per poi scoprire che non
ti sei mai sentito così “vicino” a degli “estranei”,
e che li ricorderai con affetto per tutta la vita! Essere in cima a
un palcoscenico, per raccontare quella parte di te che di solito non
si vede è come una dichiarazione: “eccomi, sono qui: io
sono anche questo!”. Ma è anche essere lì per qualcuno,
e portarlo dentro la storia che gli vuoi raccontare. Infine è
scoprire, casualmente, che le “coincidenze” esistono e forse
non sono nemmeno così casuali, venendo a sapere che la persona
che ha provato quella parte così a lungo con te non è
altro che la figlia degli amici dei tuoi genitori che non si sentono
da trent’anni e che qualcosa, in fondo,... era già segnato!
Matteo (secondo
anno)
Ecco il copione. L’abbiamo letto. Ed ora parliamone! Non si può
certo dire che questo secondo anno della Scuola di Teatro non sia stato
pragmatico. A partire da impressioni e idee sul testo “L’avventuriere
onorato” di Carlo Goldoni abbiamo intrapreso un viaggio alla scoperta
di caratteri, peculiarità, difetti e pregi dei personaggi, guidati
dall’esperienza di Carlo e Titino ci siamo avventurati nella lettura
del copione, cercando di cogliere quello che Il Goldoni voleva “far
cogliere” allo spettatore senza tralasciare ciò che vi
leggevamo noi. E’ stato un lavoro faticoso, concettualmente e
soprattutto fisicamente, che ha spinto tutti noi a mettersi in gioco
e prima ancora in discussione, per “trovare” quel personaggio
che avevamo il compito di rappresentare. Allora è stato bello
vedere persone che rompevano gli schemi della propria persona e diventavano
chi un conte ipocondriaco, chi un avido marchese o un signorotto moralista,
chi una “femme fatal” e chi invece dimezzava il proprio
“io” per interpretare un ruolo in coppia. Il percorso formativo
ci ha portati a scoprire l’importanza e la bellezza celata
nel ritmo corporeo, di gruppo e personale, quel “ritmo! ritmo!
Lo spettacolo deve durare la metà!” che più di tutte
le parole e gli insegnamenti rimarrà impresso nella nostra memoria
ci ha portato a costruire e realizzare una messa in scena sofisticata
e coraggiosa. E per il prossimo anno sembra dovremo aspettarci grandi
cose... staremo a vedere, o meglio, a provare!
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