OSSIDIANA TIME 20
newsletter semestrale di Ossidiana Centro Culturale e di Espressione

dicembre 2003
decimo anno



La Pausa ed il Teatro
Il fascino del silenzio

OSSIDIANA TIME 30
OSSIDIANA TIME 29
OSSIDIANA TIME 28
OSSIDIANA TIME 27
OSSIDIANA TIME 26
OSSIDIANA TIME 25
 

Il silenzio, l’immobilità mettono paura, o alla meglio imbarazzano. Permettono di vedere e sentire quel qualcosa di più che generalmente le tante parole o i troppi gesti tendono a coprire, a mascherare. E’ possibile imparare ad usare questa modalità per comunicare con una forza evocativa che stimoli intuizioni, immagini, sensazioni, ricordi, che porti ad avvicinarsi maggiormente al senso delle cose? Parola e silenzio, movimento ed immobilità, questi due poli di un unico processo comunicativo, si possono considerare complementari tra loro e non in contrapposizione, ma indispensabili l’uno all’altro?
Le pause amplificano i gesti, sottolineano le parole, danno il tempo per smuovere emozioni, lo spazio necessario per accogliere i messaggi, per dare loro spessore, e ricollegarli alla nostra esperienza. Aiutano ad ascoltare con tutti i nostri sensi. Ma come diventare abili nell’uso della pausa?
Abbiamo quindi chiesto a Laura Curino se poteva essere interessante lavorare sulla pausa nel prossimo appuntamento di “Al di là del mare”. Sintetizziamo qui sotto il suo progetto su questo tema che Laura ha abbracciato con il suo inconfondibile tocco.
“Lavoreremo cercando di riconoscere le differenze fra pausa, sospensione, fermata, interruzione, siano questi silenzi relativi alla parola o al movimento.
Avremo bisogno di portare con noi un buon testo da leggere insieme. Un romanzo o dei racconti. Direi che quelli che ci sono finora piaciuti di più per esercitarci sono i testi che raccontano di passaggi e trasformazioni, passaggi d'età (infanzia, adolescenza, maturità), passaggi di condizione (ricchezza - povertà, pace - guerra, salute - malattia)...ecc
Abbiamo poi bisogno di un testo teatrale, prenderei Romeo e Giulietta, oppure Macbeth di Shakespeare, in qualsiasi traduzione.
Tutti devono portare con sé anche un brano a memoria, andranno bene anche brani su cui si è già lavorato in altri spettacoli o laboratori.
L'obiettivo è imparare a tenere un racconto sul filo, sospeso per aria come un acrobata che tutti guardano affascinati, oppure imparare a sottintendere col silenzio, a lasciare giusto spazio al silenzio anche nei dialoghi...senza che però ci capiti di esibire lunghi silenzi che vorrebbero esser carichi di significato ma che, purtroppo, non riescono a significare altro che un lungo spazio di silenzio soporifero...
Impareremo, come sempre, ad ascoltare.”

Franca Pretto

Scrivere per Internet
Le nuove modalità di comunicazione


Il Web ha rivoluzionato le tecniche di scrittura. Il giornalismo e la letteratura hanno dovuto confrontarsi con un media che impone un nuovo modo di scrivere e comunicare.
Per comunicare in modo efficace nel web, occorre apprendere le nuove tecniche di scrittura. E questo vale per tutti: dal giornalista di cronaca allo studente universitario, dal giovane scrittore all'esperto di comunicazione aziendale.
Sul web cambia la modalità di scrittura perché cambia la modalità di lettura. Sullo schermo, infatti, la velocità di lettura si riduce del 25% rispetto a quella su carta. Oltretutto, la lettura a schermo è qualitativamente diversa: il lettore non segue il testo da sinistra verso destra in modo sequenziale, ma effettua prima una scansione della pagina, alla ricerca di elementi visivi che attirino la sua attenzione. Durante questa prima “meta-lettura”, l'occhio cerca di abbracciare l'intero contesto visivo, per poi intraprendere una lettura più analitica.
Partendo da questo presupposto, è necessario prendere consapevolezza delle differenze tra Internet e gli altri media, e provare a trarre da questa situazione tutti i benefici possibili per la nostra comunicazione. Perché rendere difficile la vita al nostro lettore? Cerchiamo invece di venirgli incontro.
Probabilmente lo stile che più si avvicina a quello del web è lo stile giornalistico. Ci sarebbe molto da imparare, ad esempio, dalla prima pagina di un quotidiano per capire come gettare l'amo di un discorso, come catturare l'attenzione del lettore, come tenerla in sospeso finché non si arriva alla pagina interna, capire quali miracoli di attenzione riesce a fare la sintesi.
Ma su Internet non possiamo usare le stesse strategie che useremo su carta.
Per comprendere questo ed altri meccanismi della scrittura per il web, il Centro Culturale e di Espressione “Ossidiana” di Vicenza promuove il workshop “Scrivere per Internet”, un seminario che introdurrà gli allievi allo studio delle tecniche più appropriate di web writing per redigere testi efficaci, chiari e leggibili su Internet.
Il corso è indirizzato a: laureati/laureandi in lettere, filosofia, scienze delle comunicazioni; comunicatori d’azienda, addetti stampa, giornalisti, insegnanti e professionisti che vogliano migliorare il proprio stile di scrittura sul Web. Persone dalle esperienze diversificate, accomunate dalla passione per la scrittura e dal desidero di aggiornarsi sullo stile di Internet.
Luca Lorenzetti


Oscar Wilde a Beato chi legge

Diciamoci la verità: un corso di introduzione alla lettura de Il ritratto di Dorian Gray ha tutta l'aria di una operazione paradossale e provocatoria, forse anche inutilmente provocatoria. Un po' come portare vasi a Samo o nascere in un convento e correre subito a farsi monaci. Tutti hanno letto o leggiucchiato o sfogliato, sentendosene irresistibilmente attratti, l'unico romanzo di Oscar Wilde. Troppa parte di noi stessi è lì, in quei brevi e disuguali capitoli dove, se si eccettua il poco o niente che vi accade, non si fa che discorrere di pittura e di teatro e di buone maniere tra un ricevimento al club, con il beneplacito di S.M. la graziosa imperatrice Vittoria, e una puntatina a Soho col favore delle tenebre.
Enigmatico e innocente come un mito moderno che metta la morale davanti alla favola per fare più in fretta a scavalcarla e non parlarne più, Il ritratto di Dorian Gray detiene a tutt'oggi il titolo di romanzo più giovane e più longevo dell'intera letteratura universale. Venuto al mondo sul crepuscolo del XIX secolo, si presenta all'alba del terzo millennio senza una ruga né alcun altro segno di deterioramento, arzillo di una gioventù che non sa che farsene di ritocchi e rimaneggiamenti critici (la chirurgia plastica del testo letterario) e se ne frega bellamente di mode e voghe e revival. Leggerlo o rileggerlo oggi è come andare a trovare un lontano e facoltoso parente che si credeva in fin di vita e scoprire che non solo è vispo e in salute, ma che le rughe che avevamo creduto di vedergli sono le nostre riflesse sullo specchio che lui ci sta porgendo.
Dopo aver fatto trascorrere ai suoi partecipanti otto settimane nella pancia del cavallo di Troia, il corso Beato chi legge si riaccende a marzo invitando chiunque se la sente a misurarsi con un evergreen, un classico moderno senza limiti di fascino e problemi di anagrafe, vistoso girasole all'occhiello della personalità letteraria più processata e condannata (a vanvera) e più riabilitata e amata (a ragione) dai lettori di tutto il mondo e di tutte le età.
Marco Cavalli


L'intervista a
Matteo Destro
Fondamentale è saper ridere di se stessi

Come ti sei avvicinato al teatro e che valore ha per te adesso?
Ho conosciuto il teatro attraverso il clown, un po’ per gioco, e subito me ne sono innamorato. E come per tutti gli innamorati il soggetto amato è diventato per me una necessità della quale non ho più saputo fare a meno. L’imprinting clownesco lo porto con me ancora adesso ed è il fondo che mi accompagna in tutto il mio lavoro teatrale nonostante mi sia formato e continui ad esplorare altri territori.
Sia come attore, che come regista e soprattutto come pedagogista parto da questo fondo che oserei definire salvifico, ovvero il saper ridere di me stesso.
Cioè?
I limiti, le imperfezioni, la nostra assoluta imbranataggine in molte situazioni della vita sono le fonti a cui mi ispiro costantemente e penso che siano quelle che hanno ispirato gli scrittori ed i registi teatrali di tutti i tempi, dai greci ad oggi. Le passioni, i sentimenti, le emozioni nascono e si nutrono delle nostre instabilità. E’ la tragedia dell’uomo, condannato con la sua imperfezione ad andare avanti. Tutto questo è il sale della vita e nel teatro è il sale del racconto, ed il clown lo incarna totalmente.
Secondo te, oggi, cos’ha bisogno di trovare il pubblico a teatro?
Poesia. E purtroppo in questo momento in giro è difficile trovarla, sembra che si cerchino soprattutto gli effetti speciali per impressionare il pubblico. Non ho nulla contro gli effetti speciali, anzi mi affascinano, ma se sono fine a se stessi dopo un po’ mi stancano. Molto di rado riesco ad assistere a spettacoli dove una buon livello tecnico sia accompagnato da sensibilità, genio creativo e qualcosa da raccontare. Mi vien da dire che c’è poco di vero nel fronte teatrale. E dicendo questo non metto in dubbio le buone intenzioni di chi fa questo lavoro, dico solo che sento la mancanza di poeti.
Poeta si nasce o lo si diventa?
Penso che lo si diventi. Certamente ci sono persone più sensibili di altre verso se stesse e verso il mondo che le circonda e alcune che più di altre hanno coltivato l’immaginazione e la fantasia per rielaborare gli stimoli. Penso anche che ci siano persone che più di altre abbiano la dedizione e la disciplina per perfezionare una tecnica per poter poi esprimere tutto questo. Nonostante queste diversità sono comunque tutte qualità che ognuno può sviluppare secondo le possibilità personali. Basta volerlo veramente ed essere disposti a lavorare con umiltà, senza lasciare in disparte un pizzico di follia.
Nella tua esperienza di pedagogista teatrale qual’è la difficoltà che incontri più spesso nei tuoi allievi?
La paura. A volte incontro persone molto aperte e spiritose che hanno un’enorme paura di guardarsi dentro e prendere contatto con la propria sensibilità e la propria storia, a volte invece capita il contrario ovvero di incontrare persone molto sensibili però spaventatissime nell’uscire dal proprio guscio.
Agli allievi dei tuoi laboratori cosa insegni.
A fare amicizia con il proprio corpo per poi giocarci assieme. Ognuno ha i suoi tempi per farlo: a volte succede subito a volte dopo la fine del corso, a volte dopo anni durante altre esperienze.
Cosa proponi durante i corsi per arrivare a questo?
Propongo corsi su stili teatrali specifici come il mimo, il clown, la commedia umana, il melodramma o su temi come il gesto, il corpo in gioco o altri. Alla fine dei corsi generalmente si entra in punta di piedi a conoscere questi grandi territori teatrali ma sicuramente durante il percorso si è giocato a muovere il corpo per fargli sperimentare i movimenti e i punti fissi che stanno alla base di ognuna di queste dinamiche umane. Il corpo è sede della sensibilità, è mente, è memoria e alla fine si ricorderà molte più cose della nostra coscienza. Prendere coscienza di questo è già un buon punto di arrivo.
Cosa chiedi a chi partecipa ai corsi?
Chiedo il massimo impegno. Tutto poco a poco viene messo in gioco. Non è importante se si crede di essere dei bachettoni o delle pietre , il percorso è accessibile a tutti poiché più limiti ci sono più materiale abbiamo da scoprire e da condividere, la cosa importante è voler mettersi in gioco. Giocando poi ci si divertirà.
Quanto importante è la tecnica nell’espressione teatrale?
Direi che è fondamentale. La tecnica serve per dare una forma comprensibile a tutto il nostro mondo e a quello che vogliamo dire. E’ il linguaggio dell’espressione.
Bisogna stare attenti a non abusarne altrimenti ci si chiuderebbe dentro a dei vuoti virtuosismi.
Quando è ben assunta si aprono le porte al gioco e tutto diventa di colpo più grande.
E’ come giocare a tennis senza riuscire mai a colpire una palla, immaginate che agonia enorme andare su e giù a raccogliere palline. Non appena cominciamo a capire come si fa iniziamo a divertirci. Con il tempo il corpo va da solo e di volta in volta, a seconda della situazione, iniziamo a piazzare i colpi.
Dopo il corso di mimo che altri progetti hai in cantiere con Ossidiana?
C’è in cantiere uno dei workshop estivi di “Al di là del mare”. Il tema sarà “La Pausa”. Sarà un viaggio all’interno del movimento per poter capire meglio la Pausa. Si cercherà di ritrovare nel corpo le dinamiche presenti in natura (terra, acqua, fuoco, aria) e con queste poi si andrà a nutrire il gesto e l’azione. Come si siede una pioggia autunnale? Come aspetta l’autobus una pozzanghera? E un uragano? Come saluta la fiamma di una candela? E un bosco in fiamme?
Quando arriverà la pausa la dinamica iniziata con il corpo continuerà nello spazio della scena e raggiungerà il pubblico trasformandosi in emozione e sentimento.
Il workshop si rivolge a chi desidera approfondire l’esperienza del proprio corpo, valorizzare le proprie capacità espressive e avvicinarsi al teatro, e a chi, già attivo nel campo teatrale, vuole approfondire la dimensione corporea e di movimento del proprio mondo teatrale.
Gianni Gastaldon