OSSIDIANA TIME 15
newsletter semestrale di Ossidiana Centro Culturale e di Espressione

settembre 2001
ottavo anno



Come si legge un romanzo (da sé, per sé e senza tanti perché)
Beato chi legge… Manzoni

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Cosa dire di un libro che non ha ancora smesso di andare per la maggiore e insieme di riscuotere la quasi unanime e istintiva antipatia dei suoi lettori, autentici o presunti? Mai provato a leggere sul serio un romanzo che praticamente ognuno di noi si è visto comminare quale lettura formativa e obbligatoria durante gli anni della cattività scolastica? Un romanzo che non si può evitare di conoscere, proprio come un molesto vicino di casa, malgrado la scarsa o nessuna voglia di averci a che fare per quanto alla lontana? Un romanzo che molti si sono ripromessi di non prendere mai più in mano, salvo tesserne l’elogio nelle circostanze ufficiali, dove vige l’intransgredibile imperativo di rendere il noto notorio? Mai letto veramente, e fino all’ultimo capoverso, un testo nei confronti del quale i suoi zelatori non ci hanno lasciato scelta fra l’ammirazione più illimitata e a scatola chiusa e una pedestre e scocciata indifferenza?
Mai letto, insomma e finalmente, I Promessi Sposi?
Se occorre una buona dose di fortuna per giungere a conoscere I Promessi Sposi prima che la scuola ne faccia il temuto spauracchio che tutti sanno, è altrettanto vero che il romanzo di Manzoni meriterebbe qualche chance in più rispetto a quelle di cui dispone a tutt’oggi per esprimere al meglio le proprie incontestabili qualità narrative. Non è giusto dare la colpa a Manzoni se una secolare cospirazione istituzionale ordita da scuola e mass media ha condannato il suo romanzo a diventare una penitenza anziché una occasione di divertimento, costringendo il lettore a reagire ai Promessi Sposi invece che felicitarsi di poterli leggere. E lo stesso Manzoni, poveretto, tenebrosamente avvolto nella cieca devozione tributatagli dagli accademici di merito o di carriera, avrebbe un urgente bisogno di emanciparsi dalla solennità di dover essere, da quasi due secoli, “il Manzoni”, come lo chiamano le enciclopedie e i manuali e gli insegnanti di lettere, neanche fosse una specie di “commenda” lombardo o di attempato cavaliere del lavoro…
Forte del successo riscosso nelle sue prime due edizioni, Beato chi legge torna a riproporre la formula che gli è congeniale -insegnare come si legge un romanzo da sé, per sé e senza tanti perché- proponendo come testo di riferimento proprio l’immarcescibile Bibbia laica della letteratura italiana: I Promessi Sposi. Un corso dove si impara a leggere un romanzo, qualunque romanzo, avendo nel contempo la preziosa opportunità di familiarizzare con Renzo, Lucia, don Rodrigo, la Monaca di Monza, l’Innominato e don Abbondio, figure di un mazzo di carte che giace sparpagliato nella testa di ogni italiano, rappresenta una duplice, affascinante sfida: alle sordità del lettore saltuario e alle resistenze del lettore che si autoproclama incallito. Nella convinzione che nessun approccio scolastico e colpevolizzante può sostituirsi all’incontro diretto con il testo, Beato chi legge invita le persone amanti della lettura, quale che sia il loro livello di istruzione o di pigrizia intellettuale, a buttarsi a testa bassa nell’avventura più straordinaria e più alla portata di tutti che sia dato conoscere: leggere la letteratura d’autore per il piacere disinteressato di farlo.
E cominciare a divertirsi facendo la pace con I Promessi Sposi
Marco Cavalli


Olio e acquarello sotto i portici della Basilica

La mostra "Olio e acquarello in esposizione", chiusasi lo scorso 1° di luglio negli spazi prestigiosi dei sottoportici della Basilica Palladiana, ha fornito una volta di più una positiva occasione per porre all'attenzione generale la preziosa attività svolta in città dal Centro Culturale "Ossidiana", un’altra convincente testimonianza del crescente fervore artistico che arricchisce l’offerta culturale della Città di Vicenza.
Si trattava questa volta della mostra dei quadri degli allievi (ma anche dei maestri) relativi ai corsi tenuti da Annamaria Trevisan per gli oli e da Toni Vedù e Laura Sarra per gli acquarelli, corsi cui si era iscritto un numero davvero assai corposo di aspiranti artisti. E va subito detto che la mostra ha documentato un livello artistico molto apprezzabile, grazie al quale si è potuto verificare come i partecipanti ai corsi, e quindi gli espositori, fossero in qualche caso dilettanti solo di nome. D'altra parte, i docenti dei corsi avevano curato una attenta selezione, per cui all'esito finale son potuti seguire solo giudizi di valore non meno che eccellenti, tanto che il pubblico sempre foltissimo e anche qualificato, che ha sia partecipato all’inaugurazione sia seguito tutto lo svolgersi dell'esposizione, ha decretato il successo di una manifestazione che merita senza dubbio di essere ancor meglio conosciuta e apprezzata non solo dai vicentini, ma anche dai turisti.
Mario Bagnara
Assessore ai Servizi Culturali
del Comune di Vicenza

 

Programmare al computer
VB, VBA, vabbè… boh!

Tra le croci e delizie che il computer ci elargisce, un posto d’onore spetta certamente ai linguaggi di programmazione. Tra questi, il linguaggio di programmazione più vicino all’utente medio è di sicuro il Visual Basic for Application (VBA), ovvero quello che la Microsoft® usa per implementare le funzionalità dei programmi della suite Office.
E qua, ahi ahi, cominciano le note dolenti. E allora... tutti pronti per un piccolo esame di coscienza: sei un utente di Word o di Excel che non si è fermato ad una conoscenza superficiale del prodotto, ma che ha approfondito le sue competenze fino ad arrivare alla realizzazione delle prime “macro”? oppure sei un appassionato di Access che ha cominciato ad elaborare le prime funzionalità dell’interfaccia utente? oppure sei solo un inguaribile curioso che ha voluto approfondire la conoscenza dei programmi di Office?
In ciascuno di questi casi avrai sicuramente cozzato contro quella bestia misteriosa che viene chiamata Visual Basic.
Molti, a questo punto, si fermano perché privi delle conoscenze elementari per addentrarsi nel mondo dei linguaggi di programmazione. E forse sei anche tu in questo stadio e hai voglia di superare l’handicap del quale soffrono tutti i neofiti delle discipline sconosciute. Ciò che, allora, vogliamo proporre è un brevissimo corso di quattro lezioni di introduzione al VBA.
Non è un corso di Visual Basic, che richiederebbe, purtroppo, ben più di quattro lezioni. È invece una serie di incontri conoscitivi che possono chiarire cos’è un linguaggio di programmazione e come questo in particolare (il VBA) viene usato negli applicativi di Office. Faremo acquisire le conoscenze fondamentali che potranno costituire una valida base per iniziare lo studio più approfondito del Visual Basic, e che consentiranno, comunque, di poter cominciare a scrivere le prime piccole procedure per i programmi di Office.
Lo scopo della partecipazione alle lezioni non è quello di imparare il Visual Basic, ma quello di vedere e capire come Visual Basic funziona, e di provare, per quanto in forma elementare, a farlo “girare” negli applicativi Office.
Poi, una cosa tira l’altra... Il Visual Basic non è un linguaggio facile, di veloce acquisizione; ma non è neppure tra i più difficili. Potrebbe, all’inizio, sembrare ostico e inaccessibile. Ma esso è largamente usato da molti; e, a pensarci bene, dove sono arrivati altri, non c’è ragione che non si possa arrivare anche noi.
Il ciclo è articolato in quattro sessioni, con chiarimenti teorici e verifiche pratiche sul computer, nelle quali verranno affrontati gli strumenti che Office ci mette a disposizione per fare uso di VBA; la strutturazione base del linguaggio e come far uso degli operatori e delle funzionalità più comuni; come VBA gestisce gli elementi dell’applicazione tramite gli “oggetti”; cosa possiamo fare con gli applicativi Office e dove guardare per andare oltre…
È necessario, ovviamente, possedere una buona conoscenza di programmi come Word o Excel; o, meglio ancora, aver già iniziato a lavorare con Access: VBA è uno strumento fondamentale per lo sviluppo di applicazioni su piattaforma Access. È necessario, inoltre, avere questi programmi di Office installati sul proprio computer, per poter poi mettere in pratica le conoscenze acquisite.
Quindi VB, VBA, vabbé… vale la pena di provare!
Beppe Guatieri


L'intervista a
Renato Freddolini
L’occhio del fotografo, apertura sul suo cuore

L’occhio, specchio dell’anima. L’occhio, finestra sull’universo.
Guardare un filo d’erba e vedere l’infinito. Guardare con gli occhi dell’anima, con gli occhi delle emozioni.
Abbiamo chiesto a Renato Freddolini, che già da alcuni anni tiene corsi di fotografia presso Ossidiana:

Cos’è per te l’occhio del fotografo, quando mette a fuoco e cattura la realtà con il suo obiettivo?
L’occhio del fotografo non è altro che l’apertura sul suo cuore. E’ naturale, consolidato, quasi uno stereotipo: il fotografo guarda davanti e riproduce ciò che vede. In realtà lo sguardo proviene dal di dentro, ciò che sta “fuori” ne è solo una proiezione, un pretesto per raccontare. Di sé, del mondo, della propria concezione di esso.
Che cosa significa per te fotografare?
Significa cercare risposte non banali alle tante domande che ci si pone davanti ad un soggetto comunque inteso, quando cioè il “vedere” dovrebbe trasformarsi in “guardare”.
Da cosa sei attratto principalmente quando fotografi?
La fotografia è intimamente connessa alla parola, che io amo, per questo sono attratto dal paesaggio alla stessa maniera del poeta, dello scrittore che liberano le loro emozioni attraverso le parole. Anche il fotografo scrive e per farlo rallenta (verbo controcorrente), si sofferma, talvolta indugia, cerca una folgorazione prima dello scatto o comunque una risposta ai suoi perché. Per dirla con Eugenio Turri, grande geografo, “il paesaggio non è solamente un insieme di oggetti visibili (i campi, le case, le strade, gli alberi). E’ fatto anche di memorie legate a luoghi precisi che si sovrappongono alle cose concrete: le memorie vi aleggiano sopra, inconsistenti e leggere come sono sempre. Il paesaggio dell’uomo è lo specchio dei suoi ricordi”.
Quali sono le tue considerazioni rispetto alle esperienze di insegnamento di tecniche fotografiche presso Ossidiana?
In questi anni di docenza agli adulti ho notato che nei gruppi dei corsi di fotografia si crea un clima di grande socialità, con una serenità di fondo, di collaborazione, e nonostante le attrezzature degli allievi siano molto diverse tra loro, non c’è comunque rivalità, non c’è competizione. Questo clima lascia spazio all’apprendimento delle tecniche fotografiche e all’affinamento della sensibilità compositiva ed artistica. Personalmente tengo molto alla valorizzazione degli allievi, alla loro individualità. Per raggiungere risultati soddisfacenti è assolutamente necessario acquisire gli strumenti tecnici di base, ma, poi, momento fondamentale è lasciare spazio agli allievi, per fare emergere e riconoscere il talento di ciascuno.
Quando sei soddisfatto dei tuoi allievi?
Ci sono vari momenti per me importanti durante il percorso di apprendimento, in cui mi rendo palesemente conto che il mio insegnamento dà i propri frutti. Soprattutto durante le uscite, per fotografare la natura o il paesaggio urbano, nelle tante domande degli allievi, o nel loro profondo silenzio, mi trovo davanti al loro forte interesse, alla loro rapita concentrazione, alla loro esigenza di muoversi con sicurezza e disinvoltura nel lavoro che stanno svolgendo. Sono convinto che si apprenda molto durante le uscite, in questi momenti in cui si sintetizzano, si verificano e si arricchiscono nella pratica le acquisizioni teoriche apprese in precedenza.
Quali i risultati oggettivi nelle sedute di verifica che seguono al lavoro svolto nelle uscite?
Errori legati alle abilità di base non ce ne sono quasi mai, e questo è già un buon risultato. C’è poi una buona parte di allievi che oltre a fotografare correttamente, tende ad emergere con la propria individualità, senza accontentarsi del risultato di base. Qui allora si notano l’intuizione ed il talento in un risultato che si connota più artisticamente. E tutto ciò arricchisce notevolmente le esperienze del gruppo intero, che si dimostra sempre molto partecipe e compiaciuto dei successi dei singoli.
Perché nei tuoi lavori utilizzi il Bianco e Nero?
Sono molte le ragioni, soprattutto di carattere espressivo. Il Bianco e Nero sembra impoverire la realtà togliendole una caratteristica peculiare: il colore. In realtà lascia molta libertà al fotografo che può intervenire nella fase antecedente lo scatto privilegiando gli aspetti formali e compositivi. Ma anche nelle fasi successive egli può ingrandire, rimpicciolire, valorizzare, eliminare. Non solo. Il Bianco e Nero è una forma espressiva che, modificando la realtà, lascia all’osservatore la “libertà” di vivere ed “immaginare” il fotogramma secondo una propria chiave di lettura, che può anche essere diversa da quella del fotografo stesso. Il Bianco e Nero comunque contiene in sé una forte carica emotiva e un grande valore espressivo. Per me il Bianco e Nero è la fotografia.
E con il digitale, addio a pellicole, ingranditori, ecc?
E’ uno strumento straordinario come tante altre invenzioni o scoperte. Velocizza le operazioni, abbatte i costi, soprattutto dei professionisti che con la fotografia lavorano. Un mio collega, scherzosamente afferma che i fotografi nel passato hanno affamato i pittori. Per fortuna! Liberati dal ritratto molti hanno fatto altre cose!
Scherzi a parte così, come la pittura è sopravvissuta alla fotografia, anche la foto tradizionale avrà il suo spazio, i due sistemi conviveranno. In fondo le notti in camera oscura sono ancora davvero magiche. Almeno per me!
Gianni Gastaldon