L’occhio,
specchio dell’anima. L’occhio, finestra sull’universo.
Guardare un filo d’erba e vedere l’infinito. Guardare con
gli occhi dell’anima, con gli occhi delle emozioni.
Abbiamo chiesto a Renato Freddolini, che già da alcuni anni tiene
corsi di fotografia presso Ossidiana:
Cos’è
per te l’occhio del fotografo, quando mette a fuoco e cattura
la realtà con il suo obiettivo?
L’occhio del fotografo non è altro che l’apertura
sul suo cuore. E’ naturale, consolidato, quasi uno stereotipo:
il fotografo guarda davanti e riproduce ciò che vede. In realtà
lo sguardo proviene dal di dentro, ciò che sta “fuori”
ne è solo una proiezione, un pretesto per raccontare. Di sé,
del mondo, della propria concezione di esso.
Che cosa significa per te fotografare?
Significa cercare risposte non banali alle tante domande che ci si pone
davanti ad un soggetto comunque inteso, quando cioè il “vedere”
dovrebbe trasformarsi in “guardare”.
Da cosa sei attratto principalmente quando fotografi?
La fotografia è intimamente connessa alla parola, che io amo,
per questo sono attratto dal paesaggio alla stessa maniera del poeta,
dello scrittore che liberano le loro emozioni attraverso le parole.
Anche il fotografo scrive e per farlo rallenta (verbo controcorrente),
si sofferma, talvolta indugia, cerca una folgorazione prima dello scatto
o comunque una risposta ai suoi perché. Per dirla con Eugenio
Turri, grande geografo, “il paesaggio non è solamente un
insieme di oggetti visibili (i campi, le case, le strade, gli alberi).
E’ fatto anche di memorie legate a luoghi precisi che si sovrappongono
alle cose concrete: le memorie vi aleggiano sopra, inconsistenti e leggere
come sono sempre. Il paesaggio dell’uomo è lo specchio
dei suoi ricordi”.
Quali sono le tue considerazioni rispetto alle esperienze di
insegnamento di tecniche fotografiche presso Ossidiana?
In questi anni di docenza agli adulti ho notato che nei gruppi dei corsi
di fotografia si crea un clima di grande socialità, con una serenità
di fondo, di collaborazione, e nonostante le attrezzature degli allievi
siano molto diverse tra loro, non c’è comunque rivalità,
non c’è competizione. Questo clima lascia spazio all’apprendimento
delle tecniche fotografiche e all’affinamento della sensibilità
compositiva ed artistica. Personalmente tengo molto alla valorizzazione
degli allievi, alla loro individualità. Per raggiungere risultati
soddisfacenti è assolutamente necessario acquisire gli strumenti
tecnici di base, ma, poi, momento fondamentale è lasciare spazio
agli allievi, per fare emergere e riconoscere il talento di ciascuno.
Quando sei soddisfatto dei tuoi allievi?
Ci sono vari momenti per me importanti durante il percorso di apprendimento,
in cui mi rendo palesemente conto che il mio insegnamento dà
i propri frutti. Soprattutto durante le uscite, per fotografare la natura
o il paesaggio urbano, nelle tante domande degli allievi, o nel loro
profondo silenzio, mi trovo davanti al loro forte interesse, alla loro
rapita concentrazione, alla loro esigenza di muoversi con sicurezza
e disinvoltura nel lavoro che stanno svolgendo. Sono convinto che si
apprenda molto durante le uscite, in questi momenti in cui si sintetizzano,
si verificano e si arricchiscono nella pratica le acquisizioni teoriche
apprese in precedenza.
Quali i risultati oggettivi nelle sedute di verifica che seguono
al lavoro svolto nelle uscite?
Errori legati alle abilità di base non ce ne sono quasi mai,
e questo è già un buon risultato. C’è poi
una buona parte di allievi che oltre a fotografare correttamente, tende
ad emergere con la propria individualità, senza accontentarsi
del risultato di base. Qui allora si notano l’intuizione ed il
talento in un risultato che si connota più artisticamente. E
tutto ciò arricchisce notevolmente le esperienze del gruppo intero,
che si dimostra sempre molto partecipe e compiaciuto dei successi dei
singoli.
Perché nei tuoi lavori utilizzi il Bianco e Nero?
Sono molte le ragioni, soprattutto di carattere espressivo. Il Bianco
e Nero sembra impoverire la realtà togliendole una caratteristica
peculiare: il colore. In realtà lascia molta libertà al
fotografo che può intervenire nella fase antecedente lo scatto
privilegiando gli aspetti formali e compositivi. Ma anche nelle fasi
successive egli può ingrandire, rimpicciolire, valorizzare, eliminare.
Non solo. Il Bianco e Nero è una forma espressiva che, modificando
la realtà, lascia all’osservatore la “libertà”
di vivere ed “immaginare” il fotogramma secondo una propria
chiave di lettura, che può anche essere diversa da quella del
fotografo stesso. Il Bianco e Nero comunque contiene in sé una
forte carica emotiva e un grande valore espressivo. Per me il Bianco
e Nero è la fotografia.
E con il digitale, addio a pellicole, ingranditori, ecc?
E’ uno strumento straordinario come tante altre invenzioni o scoperte.
Velocizza le operazioni, abbatte i costi, soprattutto dei professionisti
che con la fotografia lavorano. Un mio collega, scherzosamente afferma
che i fotografi nel passato hanno affamato i pittori. Per fortuna! Liberati
dal ritratto molti hanno fatto altre cose!
Scherzi a parte così, come la pittura è sopravvissuta
alla fotografia, anche la foto tradizionale avrà il suo spazio,
i due sistemi conviveranno. In fondo le notti in camera oscura sono
ancora davvero magiche. Almeno per me!
Gianni Gastaldon
|