Dall’anno
scorso Marco Benetti collabora con il team di docenti dell’ormai
affermata e conosciuta Scuola di Pittura e Disegno di Ossidiana.
Diplomato in Pittura all’Accademia di Belle Arti di Venezia, insegna
Discipline Pittoriche nelle scuole secondarie superiori ad indirizzo
artistico. Particolarmente appassionato di anatomia artistica umana
e comparata, espone e pubblica disegni sull’uomo, sul cavallo
e sul cane in occasione delle fiere internazionali del libro di Bologna.
Da alcuni anni sviluppa studi e ricerche sui metodi della rappresentazione
visiva nella storia dell’arte, lavorando anche come illustratore
per la sezione educativa di una casa editrice statunitense.
Incuriositi ed interessati al suo modo di insegnare questa disciplina
artistica, tanto fondamentale quanto particolare, siamo andati a conoscerlo
un po’ più da vicino.
Come si è sviluppata la tua passione per il disegno?
Non ricordo quando ho iniziato a disegnare, mi piace pensare che sia
nata con me. Per questo non la considero una passione vera e propria,
ma una dimensione del mio esistere, una funzione vitale come il respiro.
Se si ferma, rischio di soffocare.
Quale è la tua formazione-specializzazione, le tue soddisfazioni,
le scelte...., insomma tutto il tuo percorso artistico?
È fatto dal divenire della mia vita, da ogni istante. Ci sono
mia madre, mio padre, il gioco, la solitudine, gli amici, il sonno,
gli insegnanti, l’amore, i fogli, gli artisti, i musei…
ma anche i bagni dei musei.
Cosa provi quando disegni? Quando provi le emozioni più
grandi nel disegnare?
Ad essere sincero non lo so, lo faccio e mi basta. Forse qualcosa di
curioso c’è. Mentre lavori non ti chiedi nulla, ne sei
parte. Le emozioni arrivano dopo, quando ti fermi e guardi il disegno
per la prima volta; le provi in quel momento. Ecco, forse l’emozione
più forte è quello “stato del non sentire”.
Cosa insegni ai tuoi allievi?
Che il disegno è spietato, con gli allievi come con i grandi
maestri.
Nel disegno non puoi mentire, non te lo permette. È come se tentassi
di disegnare su uno specchio e allo stesso tempo cercassi di nasconderti,
se lo fai si vede.
Inoltre, che serve una solida base di onestà, umiltà e
pazienza. Si tratta di essere più sinceri. Nei corsi non si cancella,
si disegna! Se i miei allievi riescono a comprendere ciò, hanno
già fatto molto… anche se alla fine, ho sempre dei dubbi
su chi insegna fra noi.
Come procedi nei tuoi corsi? Che metodo usi?
“L’occhio dovrebbe ascoltare prima di vedere” diceva
qualcuno.
Iniziamo a percepire quel “contatto” che si crea tra l’essere
e il soggetto, quel luogo intimo di scambio e di conoscenza. Non basta
qualche rapida occhiata. Ogni cosa ha una sua forma, una sua evoluzione,
una sua armonia ed esige rispetto! Lei vive in noi, attraverso il nostro
pensiero, e ci lascia delle sensazioni che si adagiano nello spazio
del foglio.
Abbiamo un ruolo importante in tutto ciò. Le persone trovano
naturalmente il loro modo per farlo… Le osservo mentre disegnano,
come stringono la matita, come incidono la carta, e che suoni producono,
è una cosa che mi fa venire la pelle d’oca.
Cerco di liberare le loro “sensibilità espressive”,
ma con cautela, senza forzature. Ognuno ha i suoi tempi.
In questa disciplina quali sono le difficoltà più
ricorrenti per gli allievi?
Penso che siano da ricercare in noi stessi, nella mente. Ci imponiamo
dei limiti, abbiamo delle paure, non ci sentiamo all’altezza e
abbiamo il timore di sbagliare. Il disagio emotivo si traduce inevitabilmente
nei disegni. Queste sono le difficoltà più grandi e spesso
hanno un passato alle spalle. Poi c’è la fretta, il nemico
mortale del disegno.
Come riesci a far superare queste difficoltà durante le lezioni?
In genere, insisto molto sull’atteggiamento mentale, sulla tranquillità,
proponendo dei lavori che permettano di liberarsi da certe angosce.
Serve a ritrovare un po’ di fiducia. Tutti sbagliano, anche i
grandi artisti, ma ci vorrebbe l’onestà per ammetterlo,
cioè di accettare che possa succedere…
“Rovesciamo gli occhi e poi li riapriamo” entrando in confidenza
con i materiali, gli strumenti, lo spazio, il sé intuitivo e
il proprio corpo. Quando disegniamo usiamo tutto di noi.
Chi può partecipare a questi corsi? Sono necessarie delle basi?
Solitamente, è più facilitato chi crede di non sapere
nulla. Chi pensa di sapere qualcosa dovrebbe fare lo stesso, mettersi
nelle condizioni di ricominciare, sempre.
Non esiste una persona che è “negata” per il disegno.
Questo pregiudizio è frutto di un grosso malinteso. Chi non ha
mai disegnato da bambino? Ma poi smette. Pensate se terminaste di leggere
a sette anni e a quaranta, pretendeste di scrivere un libro!
Il disegno è uno strumento di conoscenza legato alla nostra identità.
È una comunicazione spontanea, ma va accompagnato. Mentre disegni
ti disponi su un piano molto sottile della coscienza. Ogni segno che
tracci parla di te, di come pensi, di come respiri, di come annusi.
Non è mai uguale a quello di un altro, e cambia, si evolve con
te. È straordinario!
Cosa da’ soddisfazione agli allievi?
Fare ciò che piace, è spesso una trappola. Si dice che
il maestro arriva sempre quando l’allievo è pronto. Sono
convinto che sia così anche per le soddisfazioni, arrivano quando
sei pronto a riconoscerle.
Come ho già detto il disegno non perdona, ha bisogno di impegno,
dedizione, e, non neghiamolo, anche di delusioni. Dopo anni, ti accorgi
che è l’affrontare con amore questa dura salita la soddisfazione
più autentica.
Gianni Gastaldon
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