OSSIDIANA TIME 24
newsletter semestrale di Ossidiana Centro Culturale e di Espressione

dicembre 2005
dodicesimo anno



L’esempio più clamoroso di trionfo della letteratura
Madame Bovary è la nuova proposta di Ossidiana per i corsi di “Beato chi legge”
tenuti da Marco Cavalli

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Dopo aver sconfinato nella fiaba (Alice di Lewis Carroll) e nell’autobiografia più o meno romanzata (Le memorie di Giacomo Casanova), “Beato chi legge” inaugura il nuovo anno invitando a conoscere meglio e davvero da vicino Madame Bovary, forse l’esempio più clamoroso di trionfo della letteratura ottenuto con gli strumenti semplici e insidiosi del romanzo.
“Quanto più le cose le erano vicine, tanto più il suo pensiero se ne distoglieva”. A quasi un secolo e mezzo dalla sua prima apparizione a stampa (1856), deve ancora nascere il revisionismo capace di scalzare Madame Bovary dalla sua posizione di preminenza nel popoloso firmamento del romanzo occidentale dell’Ottocento. Lo sguardo di Emma Bovary nata Rouault, quegli occhi a strati cromatici sovrapposti, “più densi nel fondo e sempre più chiari verso la superficie dello smalto”, ardono di una luce che li ha resi fraterni a generazioni di lettori, inclusi i meno portati all’adulterio saltuario o programmatico. Sarà perché un qualunque lettore del romanzo che provi a scrutare nelle pupille di Emma finisce immancabilmente col trovarci se stesso. Il che non significa, beninteso, che ci trovi la propria immagine riflessa; vi scorge semmai il riflesso dell’operazione che sta compiendo: leggere letteratura. Sulla superficie cristallina degli occhi della signora Bovary galleggiano infatti pagine e pagine di romanzi avidamente letti e riletti. Se Dorian Gray si era fatto avvelenare da un libro, l’eroina di Gustave Flaubert va in overdose di cattiva letteratura, malgrado Flaubert, in anticipo su Oscar Wilde, tenga a farci sapere che non esiste una letteratura cattiva, ma molte maniere cattive di leggerla. L’essenziale, nella vicenda di Emma Bovary, è che tutto procede da una infatuazione per un’idea squisitamente letteraria dell’amore e della passione. La debolezza di Emma consiste nel voler tradurre in pratica quest’idea, non nell’averla concepita.
La storia di Emma Bovary resta un esempio spesso imitato, talvolta raggiunto e superato, dei molti modi tortuosi accessibili a una donna e a un uomo per assecondare il loro naturale desiderio di essere un’altra donna e un altro uomo. E come resistere al fascino ricattatorio di un romanzo che parla di noi senza puntarci addosso il dito, che ci fa sentire giudici e imputati alla sbarra? Nella misura in cui ci serviamo di una fantasticheria allo scopo di nasconderci la vista della nostra realtà per come ha la miseria di essere, siamo tutti nipotini di Emma Bovary. Anche se poi è arduo trovare il coraggio o l’arsenico che fa per noi quando la realtà con la quale ci siamo indebitati - quell’usuraia - viene a presentarci il conto.
Marco Cavalli


Riti di rigenerazione dedicati a se stessi
dilatare il tempo dell’evento fisico perchè diventi esperienza sottile


Alla mattina quando mi sveglio guardo fuori il mondo come è. A volte spalanco la finestra, altre sbircio appena, altre ancora mi incanto davanti allo spettacolo di ogni giorno che, da una parte mi rassicura e dall’altra mi incuriosisce, sempre, perché dalla sua prima apparizione mi predispone l’umore a seconda del sole o della nebbia, della stagione, dell’ora, degli impegni che mi attendono, di come ho riposato, di chi vedo passare….
Quando poi bevo il mio solito caffè, trovo ogni volta che sia qualcosa di veramente gradevole, tonificante e rilassante insieme, un breve tempo di gran piacere tutto dedicato a me stessa, un momento che lì per lì sembra proprio unico, irripetibile, anche se so benissimo che si rinnova ogni mattina, ed ogni mattina mi prepara a raccogliere le idee per la giornata.
E’ un po’ così la mia visione dell’attività corporea che svolgo con i miei allievi a Ossidiana. Una ginnastica per stare bene. Movimenti che, da un lato si ripetono dando ogni volta un senso di saper fare, di sicurezza, di stabilità, e che dall’altro si riempiono di attenzioni e piaceri rinnovati, in un lavoro dedicato a se stessi che distende e rappacifica l’animo e prepara a raccogliere nuove energie fisiche e mentali. Con la solidità di un sano rituale da cui scaturiscono forze creative di rigenerazione. Allora mi piace condurre i miei allievi a scoprire un’infinità di piccole e grandi cose nello stare e nel fare del corpo, a sperimentare qualità di movimento, a trovare cosa incontra maggiormente le caratteristiche personali, oppure come si può apportare un cambiamento ad una postura o ad un movimento per renderlo più piacevole, meno scomodo, più attivo, meno monotono.
E’ come quando si torna per l’ennesima volta a visitare una bella città. Ormai la si conosce bene e la si può girare senza la preoccupazione di sbagliare strada o quartiere, gustando la sua aria romantica, artistica, divertente, intellettuale, commerciale…..ogni volta. Ogni volta già conosciuta ma non per questo meno piacevole ed affascinante. Ogni volta ricca delle nuove scoperte che si possono fare quando non si è occupati a decifrare una mappa, come il gioiello di una piccola libreria, lo spasso di uno spettacolo improvvisato di pattinatori acrobati, l’intimità di una piazza nascosta, la fortuna di un’insperata temporanea d’arte, la rivelazione di una pietanza etnica mai provata prima, l’accoglienza di una panchina nel parco, l’elettricità dello stare tra la gente, la complicità del vivere la città confusi tra i suoi abitanti.
Così mi piace pensare al mio lavoro con i miei allievi. Nelle nostre lezioni di Stretching Integrato® le consegne vengono date attraverso forme corporee e strutture semplici di movimento, una base sicura per poter spaziare, un limite, un confine che da un lato aiuta a contenere e dall’altro aiuta a sperimentarsi, a cercare più spazio per l’individualità all’interno di una ripetitività che acquisisce senso nell’ascolto di sé nel tempo. Portando a vivere l’esperienza al di là dello stereotipo, dell’abitudine, del conosciuto e delle competenze, spinge a sperimentarsi nel nuovo.
Dilatare il tempo dell’evento fisico, del puro esercizio meccanico, perché esso da grossolano ed “esterno” diventi esperienza sottile, “interna”, gustata con calma, aperta all’intuizione e ad un processo immaginativo che porta oltre l’opacità della semplice esecuzione. Non tecnica imitativa, ripetitiva, vuota, ma arte del corpo statico e in movimento. Consapevolezza che si riempie continuamente di qualcosa di più e di diverso, di un senso che si rinnova di continuo nella ripetizione e nell’ascolto di ciò che avviene, di quel qualcosa di misteriosamente piacevole e sempre rinnovato che dia significato alla continuità e stabilità corporee.
Come una città racchiude in sé la storia del propri abitanti, il nostro corpo racchiude in sé tutta la nostra vita e rivela tutta la nostra storia. Quindi un lavoro che oltre ad allenare il corpo fisico porti a riattivare i canali percettivi per cogliere equilibri, tensioni, aperture, respiri, fatiche, scioltezze ….. per poter scegliere di stare meglio, di stare bene, allenandosi a far scorrere le energie come correnti di benessere che circolano senza ostacoli, lasciando che il corpo respiri, prendendo dimestichezza con le sue parti e la loro organizzazione, per sentirlo nella sua unità profonda e indissolubile.
Franca Pretto


L'intervista a
Marco Benetti
Disegnare è una dimensione del suo esistere, una funzione vitale come il respiro

Dall’anno scorso Marco Benetti collabora con il team di docenti dell’ormai affermata e conosciuta Scuola di Pittura e Disegno di Ossidiana.
Diplomato in Pittura all’Accademia di Belle Arti di Venezia, insegna Discipline Pittoriche nelle scuole secondarie superiori ad indirizzo artistico. Particolarmente appassionato di anatomia artistica umana e comparata, espone e pubblica disegni sull’uomo, sul cavallo e sul cane in occasione delle fiere internazionali del libro di Bologna. Da alcuni anni sviluppa studi e ricerche sui metodi della rappresentazione visiva nella storia dell’arte, lavorando anche come illustratore per la sezione educativa di una casa editrice statunitense.
Incuriositi ed interessati al suo modo di insegnare questa disciplina artistica, tanto fondamentale quanto particolare, siamo andati a conoscerlo un po’ più da vicino.


Come si è sviluppata la tua passione per il disegno?
Non ricordo quando ho iniziato a disegnare, mi piace pensare che sia nata con me. Per questo non la considero una passione vera e propria, ma una dimensione del mio esistere, una funzione vitale come il respiro. Se si ferma, rischio di soffocare.
Quale è la tua formazione-specializzazione, le tue soddisfazioni, le scelte...., insomma tutto il tuo percorso artistico?
È fatto dal divenire della mia vita, da ogni istante. Ci sono mia madre, mio padre, il gioco, la solitudine, gli amici, il sonno, gli insegnanti, l’amore, i fogli, gli artisti, i musei… ma anche i bagni dei musei.
Cosa provi quando disegni? Quando provi le emozioni più grandi nel disegnare?
Ad essere sincero non lo so, lo faccio e mi basta. Forse qualcosa di curioso c’è. Mentre lavori non ti chiedi nulla, ne sei parte. Le emozioni arrivano dopo, quando ti fermi e guardi il disegno per la prima volta; le provi in quel momento. Ecco, forse l’emozione più forte è quello “stato del non sentire”.
Cosa insegni ai tuoi allievi?
Che il disegno è spietato, con gli allievi come con i grandi maestri.
Nel disegno non puoi mentire, non te lo permette. È come se tentassi di disegnare su uno specchio e allo stesso tempo cercassi di nasconderti, se lo fai si vede.
Inoltre, che serve una solida base di onestà, umiltà e pazienza. Si tratta di essere più sinceri. Nei corsi non si cancella, si disegna! Se i miei allievi riescono a comprendere ciò, hanno già fatto molto… anche se alla fine, ho sempre dei dubbi su chi insegna fra noi.
Come procedi nei tuoi corsi? Che metodo usi?
“L’occhio dovrebbe ascoltare prima di vedere” diceva qualcuno.
Iniziamo a percepire quel “contatto” che si crea tra l’essere e il soggetto, quel luogo intimo di scambio e di conoscenza. Non basta qualche rapida occhiata. Ogni cosa ha una sua forma, una sua evoluzione, una sua armonia ed esige rispetto! Lei vive in noi, attraverso il nostro pensiero, e ci lascia delle sensazioni che si adagiano nello spazio del foglio.
Abbiamo un ruolo importante in tutto ciò. Le persone trovano naturalmente il loro modo per farlo… Le osservo mentre disegnano, come stringono la matita, come incidono la carta, e che suoni producono, è una cosa che mi fa venire la pelle d’oca.
Cerco di liberare le loro “sensibilità espressive”, ma con cautela, senza forzature. Ognuno ha i suoi tempi.
In questa disciplina quali sono le difficoltà più ricorrenti per gli allievi?
Penso che siano da ricercare in noi stessi, nella mente. Ci imponiamo dei limiti, abbiamo delle paure, non ci sentiamo all’altezza e abbiamo il timore di sbagliare. Il disagio emotivo si traduce inevitabilmente nei disegni. Queste sono le difficoltà più grandi e spesso hanno un passato alle spalle. Poi c’è la fretta, il nemico mortale del disegno.
Come riesci a far superare queste difficoltà durante le lezioni?
In genere, insisto molto sull’atteggiamento mentale, sulla tranquillità, proponendo dei lavori che permettano di liberarsi da certe angosce. Serve a ritrovare un po’ di fiducia. Tutti sbagliano, anche i grandi artisti, ma ci vorrebbe l’onestà per ammetterlo, cioè di accettare che possa succedere…
“Rovesciamo gli occhi e poi li riapriamo” entrando in confidenza con i materiali, gli strumenti, lo spazio, il sé intuitivo e il proprio corpo. Quando disegniamo usiamo tutto di noi.
Chi può partecipare a questi corsi? Sono necessarie delle basi?
Solitamente, è più facilitato chi crede di non sapere nulla. Chi pensa di sapere qualcosa dovrebbe fare lo stesso, mettersi nelle condizioni di ricominciare, sempre.
Non esiste una persona che è “negata” per il disegno. Questo pregiudizio è frutto di un grosso malinteso. Chi non ha mai disegnato da bambino? Ma poi smette. Pensate se terminaste di leggere a sette anni e a quaranta, pretendeste di scrivere un libro!
Il disegno è uno strumento di conoscenza legato alla nostra identità. È una comunicazione spontanea, ma va accompagnato. Mentre disegni ti disponi su un piano molto sottile della coscienza. Ogni segno che tracci parla di te, di come pensi, di come respiri, di come annusi. Non è mai uguale a quello di un altro, e cambia, si evolve con te. È straordinario!
Cosa da’ soddisfazione agli allievi?
Fare ciò che piace, è spesso una trappola. Si dice che il maestro arriva sempre quando l’allievo è pronto. Sono convinto che sia così anche per le soddisfazioni, arrivano quando sei pronto a riconoscerle.
Come ho già detto il disegno non perdona, ha bisogno di impegno, dedizione, e, non neghiamolo, anche di delusioni. Dopo anni, ti accorgi che è l’affrontare con amore questa dura salita la soddisfazione più autentica.
Gianni Gastaldon