OSSIDIANA
TIME 12 newsletter semestrale di Ossidiana Centro Culturale e di Espressione dicembre 1999 sesto anno |
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Al
di là del mare |
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Narrare
è fissare nelle parole vita e sogno attraverso metafore, e l'uso
delle metafore rende comprensibili tutti i possibili aspetti della vita
ed accettabili le sue difficoltà . Per questo le grandi narrazioni
sono all'inizio di ogni civiltà: da quella Ebraica con la storia
della Genesi e da quella Sumerica o Babilonese con l'epopea di Gilgamesh
fino alla grande narrazione della guerra tra Troiani e Greci con i viaggi
di Odisseo della tradizione Greco-Occidentale. La narrazione diventa
comprensione delle cose, quindi rassicura, il racconto dà speranze
ed insegnamenti, quindi ammonisce ed ammaestra. Il Teatro è il
figlio naturale della Narrazione, basti pensare alla Tragedia che altro
non è stata se non racconto a più voci. Ed Aristotele
della Tragedia sottolinea la capacità di portare alla catarsi,
di "purificare i sentimenti". Potere curativo, quindi, nei
confronti del male di vivere dell'uomo e capacità sedativa nei
confronti dei malesseri sociali. Se pensiamo alla storia del Teatro,
fino ai nostri giorni, ci viene facile individuare sovente queste caratteristiche.
Non per niente in ogni epoca, in ogni società diversa il Teatro
è ed è sempre stato specchio e metafora della società;
dando spiegazione di comportamenti, regalando pianti o risate "curative",
ammaestrando ed ammonendo, sempre attraverso metafore, o meglio storie;
delle epoche e delle società ha sempre raccontato gioie e dolori.
Eschilo ha raccontato il timore del divino, Aristofane le magagne del
potere, Shakespeare i dubbi dell'uomo di fronte alla storia, Machiavelli
le ipocrisie del Rinascimento. Il Teatro delle Sacre Rappresentazioni
e dei Misteri ha insegnato le vie del credo, della morale e del comportamento
sociale; Brecht ha cercato di rendere visibili i meccanismi dell'oppressione;
Pasolini racchiude in grandi favole i problemi profondi del '900; Paolini
racconta storie recenti spesso denunciando abusi e soprusi. La psicoterapia,
non da poco, ha individuato il carattere curativo del raccontare e del
raccontarsi; il Sacramento stesso della Confessione è stato donato
all'uomo dalla Chiesa Cattolica, fin dai primi anni del Cristianesimo,
come mezzo di alienazione da sé del peccato attraverso la parola
raccontata che genera reale pentimento. In un mondo come il nostro,
sopraffatto dall'esigenza del mostrare, il bisogno della narrazione
è diventato quindi necessità, poiché le "immagini"
che il racconto crea sono comunque sempre vere, al di là della
veridicità del narrato, in quanto immagini del nostro vissuto,
del nostro "subconscio" direbbe lo psicoterapeuta. Le immagini
mostrate (perfino il telegiornale!) rischiano sempre di più di
diventare finte, "fiction", in quanto filtrate da altre esigenze,
che non sono quelle peculiari del racconto, come abbiamo visto più
sopra, ma sono funzionali al potere, si sarebbe detto fino a poco tempo
fa, o al "mercato", come forse è meglio dire oggi.
Ricordo di avere avuto chiara quest'idea quando, nel tragico periodo
dei bombardamenti su Belgrado, m'è capitato per caso di vedere
il film di Kusturica "Underground", metafora della guerra
e dei rapporti tra le popolazioni dell'ex-Jugoslavia. Bene: nessun giornale,
nessun saggio è stato così chiaro come il racconto che
questo geniale poeta dello schermo aveva fatto della storia recente
di un popolo, e dopo quelle due ore di film io avevo chiari tutti i
perché di una guerra e di una incapacità di vivere assieme
di un popolo. E qui s'innesta l'altro importante discorso legato alla
narrazione: un racconto che parte dal proprio vissuto, dall'osservazione
attenta di ciò che ci circonda, da un bisogno interiore, è
di per sé sempre gratuito e carico di poesia e la poesia è
ciò che ci rende accettabili anche le immagini, le più
raccapriccianti, anche i lati i più dolorosi della vita. Vita
e narrazione, metafora e poesia. Ecco perché noi abbiamo pensato
di organizzare per la tornata ormai puntuale di fine giugno di "Al
di là del Mare - Workshop per il Teatro" una serie di appuntamenti
che propongono la riscoperta del mondo narrato, attraverso la creazione
di metafore e di immagini poetiche, che tengano presente il vissuto,
la ricchezza interiore di ognuno. |
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L'intervista a |
Artista
vicentino formatosi alle scuole di Santomaso a Venezia all‘inizio
degli anni Sessanta, di Kokoschka a Salisburgo nel ‘61,e di Vedova,
pure a Salisburgo nel ‘69, e di quest’ultimo assistente
all’Accademia di Belle Arti a Venezia a metà degli anni
Settanta, Miraldo Beghini si è dedicato a diverse tecniche pittoriche
e grafiche, conseguendo la maturità soprattutto da autodidatta.
L’esperienza iniziale giovanile di ceramista lo accompagnò
saltuariamente nel tempo e fin da giovane curò la propria formazione
dedicandosi al disegno, consapevole del fatto che “per qualsiasi
espressione artistica l’unica base solida è il possesso
della forma“. Affrontò con particolare impegno le tecniche
dell’acquarello e dell’olio, e, più a lungo, con
vera passione e diligenza, l’acquaforte. Da una dozzina d’anni
si applica pure all’affresco ed al trompe-l’oeil realizzando
vari lavori per edifici pubblici e case private. A Ossidiana è
stato docente, in anni passati, di pittura ad olio e trompe-l’oeil
e quest’anno torna a collaborare con la nostra associazione per
il corso di Trompe-l’oeil, l‘illusione ottica nella pittura
murale. Miraldo,
a quando risale la tua passione per la pittura? |
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