OSSIDIANA TIME 2
newsletter semestrale di Ossidiana Centro Culturale e di Espressione

dicembre 1994
primo anno

Accade a Ossidiana
Il Piacere dell’espressione
OSSIDIANA TIME 30
OSSIDIANA TIME 29
OSSIDIANA TIME 28
OSSIDIANA TIME 27
OSSIDIANA TIME 26
OSSIDIANA TIME 25
 

Dal foglio vergine emerge una linea sinuosa, una forma: la silhouette di una giovane donna attende che un tratteggio, un'ombreggiatura le restituiscano il giusto volume dei fianchi, la morbidezza dei lineamenti del volto.
Voci si espandono nell'ampio volume della sala, modellano lo spazio, lo fanno vibrare; suoni assumono colore, significato; la voce intona una melodia, taglia l'aria, accarezza le superfici, e ferma ogni respiro nella tensione dell'ascolto e scioglie ogni tensione nel piacere fluido del canto.
Il gesto di una mano magnetizza l'aria, fa eco ad uno sguardo, prelude un contatto; i corpi si avvicinano, prendono forma, rivelano la loro energia; traiettorie, un arresto improvviso, l'immobilità; una testa emerge lentamente da una forma chiusa e dà il via: abbandonato a questo nuovo impulso il corpo tutto si espande, riprende vita nel dinamismo di un movimento circolare; la mano ritorna padrona nello spazio.
Il colore invade prepotente la superficie prima candida, sfuma, guizza, si dissolve all'orizzonte, lasciando qua e là spazi tenui di nuvole... la trasparenza lascia intravvedere un altro paesaggio, un mondo sommerso, la vita di un fiore.
Tre attori, tre maschere, tre voci, tre personaggi, un'unica storia, che si moltiplica riflessa negli occhi di chi guarda e sorride del vociare brioso delle due ragazze e si burla della goffaggine spettacolare del loro compagno.
Tutto questo si percepisce entrando nella sala di Ossidiana, e non si sa se la modella teneva i capelli raccolti, o se le nuvole del dipinto diventeranno improvvisamente minacciose, o se i corpi poi si separeranno fronteggiandosi ostinatamente, o se le voci si faranno sussurro, o se i tre personaggi alla fine faranno pace, fino a che l'immaginazione di tutti i presenti si fa più accesa e l'emozione è sincera, fino a che perdura il piacere di esprimersi, di dare forma a pensieri, immagini, sensazioni, di concretizzare un'intuizione, un sentimento, un'idea facendosi largo fra pensieri e fatiche quotidiane, fino a che l'incanto del momento creativo non si è ancora una volta concluso.
Poi si è un po' più ricchi, soddisfatti, si scoprono anche delle qualità in se stessi. E' più facile la comunicazione nel gruppo di lavoro, ci si sente più sicuri, come per aver ricevuto una carica, uno slancio e si ritorna a casa con un ricordo, con l'immaginazione ancora all'erta, e con la voglia di riprovare, di progredire nell'apprendimento, di rimettersi alla prova per riuscire ancora, o meglio, certamente per imparare altri elementi tecnici e scoprire un nuovo piccolo aspetto di sè.
La Redazione


I salotti-serra del giardino d’inverno
Casa Verde Casa

Il tema del giardino d’inverno ci ha sempre appasionato molto, parleremo quindi di quei giardini o terrazzi che proprio sotto il cielo invernale danno il meglio, quando i loro padroni li guardano attraverso le finestre chiuse.
Grazie al nostro clima non sempre rigidissimo e potendo disporre di una posizione un poco riparata dai venti gelidi si può godere di fioriture in successione dalla fine di novembre fino ad oltre aprile, utilizzando piante eleganti o che profumano tutto un terrazzo o che rallegrano i plumbei giorni invernali regalandoci splendidi quadri, con pennellate di vario colore. E’ risaputo che i “giardini d’inverno” riscuotono tanto successo nel nord europeo, dove i freddi durano più a lungo, le primavere tardano e i raggi del sole cadono assai più obliquamente. Comunque, anche da noi, è difficile resistere al fascino e alla suggestione di queste costruzioni che conobbero il loro periodo aureo alla fine del Settecento e durante tutto l’Ottocento fino agli anni Trenta. Erano luoghi particolari dove ricevere, soggiornare e addirittura tenere sontuose feste e banchetti. Saloni verdi, involucri trasparenti, i giardini d’inverno sono ambienti creati per riunire le caratteristiche del soggiorno all’aperto e della serra. Tra gli esempi più eclatanti, lo straordinario complesso delle Serre reali di Laeken, tuttora appartenente alla corona belga, voluto da Leopoldo II, attento collezionista di piante esotiche.
Comunque il giardino d’inverno può avere una serie di interpretazioni moderne, adeguate ai nostri stili di vita: può essere un prolungamento della casa, del soggiorno, uno studiolo, un solarium con sauna o la copertura di una piscina. Vera e propria stanza verde, o giardino con cielo di vetro, il suo desiderio nasce dal bisogno profondo di evadere da una stagione tenebrosa che pare non avere termine e da una struggente voglia di primavera e di colori teneri e brillanti. Gremito di piante sospese dall’alto e arredato con esemplari in vaso è un salotto verde, con pavimenti in legno, pietra o cotto, con mobili di ferro battuto, di teak o iroko o di midollino e con tappezzerie vivaci. Comunque si può trasformare un locale della propria casa in un delizioso soggiorno-serra, dove far crescere con successo varie piante anche ad alto fusto, senza contare poi le bulbose forzate che fioriscono in casa attorno al periodo natalizio. Finalmente anche da noi comincia lentamente a diffondersi l’abitudine di acquistare tali bulbi, poiché, anche se non è sempre possibile realizzare un giardino d’inverno, è assai semplice procurarsi copiose fioriture in casa durante la stagione fredda con poca fatica.

Gabriella Bondi e Rosita Feltrin


Lasciarsi catturare dal fascino della metropoli più famosa del mondo
New York New York

Fu un cambiamento definitivo, un taglio netto con il passato, la fine delle tribù degli Algonquini ed il principio di una nuova avventura che si svolgerà a ritmo accelerato e si chiamerà New York City.
Era l’anno 1626, le “solite” stoffe e perline di vetro furono il prezzo pagato dagli Olandesi; l’isola di Manhattan fu l’oggetto dello “scambio”. Felice collocazione geografica, imponente lavoro dell’uomo, sviluppo vertiginoso: destino inarrestabile di questa metropoli, proiettata da sempre nel futuro, guida incontrastata negli eventi più significativi dell’intero paese. Ma quali sono le emozioni che ti pervadono al primo impatto con questa città?
Al tuo arrivo, in grande soggezione per la sua smisuratezza, ben presto ti accorgi di conoscerla già, le sue immagini rimandano a quelle viste infinite volte al cinema e sui teleschermi; ma, più la percorri, la osservi, la assapori, più scopri la sua ricchezza, la sua sorprendente originalità, la sua bellezza invadente, le sue enormi contraddizioni. Città esagerata, dove tutto è spettacolo, museo vivo dove grattacieli, ponti, strade, ne scandiscono il ritmo vitale, dove parchi ed avenues regolano il respiro di questo titanico essere pulsante, splendido paesaggio architettonico dove l’occhio non è mai stanco di inquadrare da angolazioni sempre diverse, labirinto di emozioni e di immagini in un intreccio urbanistico semplice, elementare, dove non servono sassolini bianchi perritrovare la strada di casa.
Capitale mondiale dell’arte dai musei invidiabili per cura ed allestimento, dove anche ogni forma di cultura è show, popolata da artisti e da fruitori dell’arte provenienti da tutto il mondo, da intellettuali, businnes-men, finanzieri e da una folla di otto milioni di persone che danno colore, movimento, voce a questa metropoli tanto generosa per le mille risorse e possibilità, quanto spietata per la ferrea selezione quotidiana.
Come non subire il fascino di tale richiamo d’oltreoceano! E, dopo aver ammirato la bellezza prepotente dei grattacieli, aver goduto la ricchezza offertaci dal Metropolitan Museum, dopo esserci ubriacati di vetrine e luci lungo la 5th Avenue ed aver ascoltato estasiati una mini band di rapper, intrufolarci in Central Park, riposarci in riva a un laghetto, guardare i bambini che giocano, i ragazzi che ridono e pattinano sul viale, e, da tutto quel verde, immaginare di veder emergere agile un daino, o una famiglia di volpi furtiva, o un grande orso barcollante, mentre uno stormo di anitre selvatiche prende il volo starnazzando.
Con questi occhi devono aver visto l’isola di Manhattan i primi “visitors” del Vecchio Mondo.
Franca Pretto


C’è ancora posto per la favola
Buone Feste con una Poesia

Avevamo un amico. Un grave male ce l’ha portato via. Era una persona speciale, straordinaria, luminosa. Ci ha lasciato molto della sua ricchezza culturale e umana. A scuola, assieme alla Divina Commedia, ci ha insegnato ad “alzare la testa dal banco”. Desideriamo augurarvi Buone Feste proponendovi una sua poesia intitolata:

Nazareth 1
Il dio-bambino
un giorno
sgusciò non visto
dalla porta del cielo incustodita.
Sentiva acuta come una ferita
nostalgia della terra
d’un gorgheggio di rondine
d’una allegra capriola senza senso
sui colli solatii sazi di vento.
S’era annoiato dei santi e patriarchi
dai volti imbalsamati
senza un sorriso
le mani giunte irrigidite al petto
negate a una carezza
le barbe assorte in estasi perenne
troppo severe per distrarsi un po’.
Lassù in cielo
non c’erano bambini.
Lassù non c’era posto
per la favola.
Gli mancava un compagno
con cui spartire un gioco.
Era l’alba.
Nel crocicchio di case
adunate sul colle fra i vigneti
riconobbe l’insegna sulla porta
d’un falegname.
Entrò.
Curvo sul banco presso la finestra
un uomo modellava un vecchio tronco
una donna posava pane bianco sulla tavola.
In un canto della stanza disadorna
dormiva sopra i trucioli beato
Pinocchio.

Gabriele Boschiero


L'intervista a
Toni Vedù
Quando un artista mette a disposizione il proprio sapere,
’esperienza di anni e tutti i trucchi del mestiere


Affermato artista vicentino, pittore acquarellista con all’attivo una decina di personali, illustratore e Visualizer, illustratore di architettura, ex insegnante di Disegno e Storia dell’Arte negli Istituti Superiori, vincitore di numerosi premi e concorsi in qualità di Cartoonist, Toni Vedù, ora anche insegnante e direttore artistico del Centro Ossidiana, risponde ad alcune nostre curiosità.

Cosa ti piace del tuo lavoro di acquarellista?
Fondalmentalmente l’acquarello mi piace perché è pulito, rapido ad asciu¬garsi, vuole un’attrezzatura minima, insomma è una tecnica “soft”. Odio il disordine, anche e soprattutto quello sedicente “pittoresco”che, come dice il nome stesso, non ha niente a che fare con la pittura. E poi, trattandolo a certi livelli, non c’è molta concorrenza.
Qual è la tua formazione come acquarellista?
Con l’acquarello ho cominciato da autodidatta colorando alcune vignette e poi perché in quel momento non potevo disporre di uno spazio più grande del tavolo da soggiorno. Anche all’Accademia di Belle Arti, mentre tutti si davano da fare con ettari di pittura gestual-informal-aglio e olio, io ero nel mio angolino pulito a distillare i miei acquarellini.
Cosa ritieni sia maggiormente necessario per diventare un buon acquarellista?
Per un buon acquarellista è importante avere “mano”, cioè avere una certa disinvoltura nel maneggiare il pennello. Esso deve diventare il prolungamento stesso del braccio. Al contrario di altre tecniche in cui il colore viene “applicato”, nell’acquarello esso viene steso in un gioco di sinergie (wow!) tra acqua, carta e tocchi di pennello. Guai agli eterni indecisi e ai “pocioni”.
Oltre all’acquarello che cosa fai?
Frequento naturalmente altre tecniche: il disegno a matita e quello al tratto di china, l’acquaforte-acquatinta, tutti “ça va sans dir” poi rigorosamente acquerellati. In ogni caso privilegio le tecniche più adatte alla riproduzione visto che lavoro soprattutto come illustratore.
Per ciò che concerne la tua attività di insegnamento, che cosa vuoi dare ai tuoi allievi, cosa ti prefiggi?
Dal punto di vista della didattica, ai frequentatori dei miei corsi cerco di instillare la capacità di “buttarsi” affidandosi al tono ed al colore senza eccessive preoccupazioni per il “disegno”.
E che tipo di strumenti offri?
Le mie conoscenze tecniche ed artistiche innanzitutto, e i “trucchi del mestiere” che ho acquisito in tanti anni di attività.
Si è appena chiusa l’ultima tua personale presso lo Studio Pozzan di Vicenza, com’è andata?
Sono soddisfatto. Io non ho un’attività espositiva molto densa anche perché non faccio più di una trentina di acquarelli miei all’anno. Quest’ultima personale viene a tre anni dalla precedente: una ventina di opere recenti, soprattutto di temi architettonici, dal titolo: “Cemento amato”.
Gianni Gastaldon