OSSIDIANA TIME 14
newsletter semestrale di Ossidiana Centro Culturale e di Espressione

dicembre 2000
settimo anno



“Al di là del mare”
quinto anno di laboratori per la formazione dell’attore
Ritmo e teatro

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Ormai è diventata una tradizione quella di dedicare l’ultima settimana di giugno e la prima di luglio ad un approfondimento delle capacità espressive insite in ognuno di noi. Il Teatro, contorni e dintorni, è il grande contenitore nel quale ogni anno immergiamo le nostre mani e dal quale peschiamo ogni anno temi e suggestioni nuove, per confrontarci, sperimentarci, proporci e, perché no, imparare qualcosa di nuovo. "Il ritmo" è il tema che quest'anno ha fatto capolino dalle infinite possibilità che il nostro "pentolone magico-teatrale" ci proponeva, il ritmo in tutte le sue sfaccettature, in tutti i suoi aspetti. Pensiamo innanzitutto come questa parola è sempre stata associata, nel nostro linguaggio, alla parola "vita"; si dice: "il ritmo della vita", oppure: il "ritmo delle stagioni", si parla dei propri "ritmi", c'è il "bioritmo", il "ritmo" cardiaco e respiratorio e così via. Quando il ritmo non c'è più non c'è nemmeno più la vita: la vita è ritmo, l'assenza di ritmo è assenza di vita. Così è il teatro: deve sempre porsi come obiettivo la presenza di un "ritmo" scenico e l'attore deve seguire un "ritmo" nella recitazione. Pensate agli antichi ed alle loro forme teatrali (la Tragedia Greca o la Commedia ad esempio), essi usavano il verso e la musica nelle loro rappresentazioni, perché erano, e da sempre sono, il modo più "semplice" per dare corpo e consistenza, per concretizzare scenicamente l'idea di ritmo. La forma di "letteratura" più vicina al Teatro -nell'antichità le due forme spesso si confondevano - è sicuramente la poesia, la quale si differenzia dalla prosa per la sua capacità forte di sintesi. E questa sintesi si ottiene anche grazie al ritmo - che nella poesia è sempre stato dato da verso, rime, assonanze, onomatopee ecc.
Quindi il teatro è come la poesia! E questa è come la vita: per una buona
vita, ci vogliono buoni ritmi... per una "poesia" degna di questo nome,
bisogna rispettare un ritmo. Ma che cos'è il “ritmo”? Non è facile definirlo, ma ci proveremo. In uno spettacolo, ad esempio, è quell'alternarsi sapiente di forte e piano, lento e veloce, alto e basso, sussurrato e parlato che garantisce il livello alto di attenzione nello spettatore. Nella recitazione dell'attore è il seguire una partitura interna alle parole ed alle immagini che esse suggeriscono con la voce e con il corpo; il ritmo è quindi voce e corpo, parola e silenzio, gesto ed immobilità. Quel che possiamo dire di sicuro senza tema di essere smentiti è che il ritmo è la base su cui posa una parola fortemente evocativa. Nei laboratori ritroveremo Jonathan Hart Makwaia, ormai ospite fisso dei nostri appuntamenti, che lavorerà sulla voce, quest'anno con maggiore attenzione al suo ritmo. Ritornerà anche Laura Curino che lavorerà sul "ritmo nella poesia". Il sottoscritto, coadiuvato da Mikail Klingvall, porterà avanti un laboratorio che si propone di trovare il ritmo della e nella rappresentazione teatrale, ma anche nella vita di tutti i giorni e per questo si chiamerà "Il ritmo delle messe in scena: tra Teatro e Vita". Jean-Pierre Boistel, del Roy Hart Theatre, insegnerà a sentire il ritmo nel corpo.
Tanti aspetti del ritmo dunque, da approfondire, da prendere a confronto, per il nostro personale Teatro, per la nostra Vita.
Pino Costalunga


Bellezza ad alto contagio
Mai dire mai


Mettere piede in terra straniera non le era mai stato indifferente, ma quella sensazione di dover cedere controvoglia alle insistenze tenaci di lui, non l’aveva mai provata in precedenza e viveva i preparativi per quella vacanza con un misto tra senso di impotenza e voglia di ammutinamento, con tutta se stessa ormai dolorante per la grande battaglia in corso. A New York non ci voleva proprio andare, non le interessava, ne era lucidamente sicura: la “grande mela” con la sua vita caotica, il rumore del traffico, la sporcizia delle strade, l’indifferenza della gente…, basta, non voleva neppure pensarci! E lui a giurarle che non era per nulla così, anzi le prometteva, spudoratamente, una settimana di indimenticabile bellezza, sicuro che quel mostro alieno sarebbe entrato indelebilmente anche nel suo cuore. Per un tecnologico e jazzomane come lui l’effetto entusiastico risultava scontato, ma per lei sarebbe stato sicuramente… doloroso. Le piacevano le città vissute con la lentezza ed il peso della Storia, le sentiva romantiche, le curavano il cuore, e si lasciava talmente contagiare dal loro fascino che lei stessa, vivendoci, si percepiva più bella.
In aereo sognò l’infida oscurità degli abissi da cui emergeva, nauseabondo e informe, un essere tentacolare fosforescente. Si risvegliò bruscamente con lo spavento negli occhi e l’oppressione nel petto: stavano atterrando al JFK di New York.
Ora, dal taxi che li portava verso Manhattan, poteva scorgere una immensa balena appoggiata sull’acqua tranquilla. Mano a mano che si avvicinavano, con gli occhi sempre meno appannati dallo sconforto e dal sonno, i contorni del possente cetaceo che andava rivelando la sua densa struttura interna in una mappa di infiniti punti luminosi, si facevano sempre più nitidi ed articolati contro la notte che lentamente l’avvolgeva, tanto che perfino lei stessa poteva riconoscere l’inconfondibile skyline della metropoli. E questo riconoscimento le procurò il primo dei tanti batticuori che la rapirono nei giorni e nelle notti seguenti. Furono batticuori benefici, arrivati con sorpresa ad emozionarla nel sentirsi così viva e così capace di assaporare ciò che andava vivendo. La sua meraviglia per la prepotente bellezza architettonica della città aveva appena iniziato a modellarle il viso e ad iscriversi nel cuore che già accoglieva dentro di sé le singolari storie che lui le raccontava di quel colosso pulsante di vita, dei suoi personaggi, dei suoi luoghi scrutati scrupolosamente e con grande emozione nella notte dall’Empire State Building. E si lasciava trasportare dall’entusiasmo di passeggiare lungo la Fifth Avenue fino a Central Park, dove un rilassante pomeriggio iniziato con spirito romantico si era trasformato in un eccitante spettacolo di newyorkesi di ogni età ed abilità su pattini a rotelle. E di trasformazioni ne aveva viste già molte passando attraverso le diverse zone della città, e nelle articolate sezioni del Metropolitan Museum, ed ancora nelle bianche nubi che si rincorrevano sopra la baia verso la Statua della Libertà. Ma la trasformazione più sbalorditiva la stava osservando proprio lui, di indole tecnologica e jazzomane, e profondamente sensibile alla bellezza. Lui l’aveva colta negli occhi e nel fare di lei che era diventata bellissima.

Franca Pretto

 

L’emozione che può suscitare il luogo della modernità
Sorpresa metropolitana

In Agosto ho avuto la possibilità di fare le mie vacanze a New York e di vedere così per la prima volta Manhattan e tutto il resto. E' stato un caso che io ci sia stato, perché New York non ha mai rappresentato per me il posto ideale dove andare a fare un viaggio: molto meglio sicuramente i posti pregni di vestigia antiche di presenza umane. Ancora oggi la penso così, anche dopo aver visto New York, ma questa strana città ha lasciato in me uno strano segno che non avrei mai immaginato potesse lasciarmi. E' stata, insomma, proprio una bella sorpresa. Io che sono stato abituato a vedere sempre con diffidenza la modernità, come il regno del caos e del "male", vedendo New York ho capito cos'è invece il fascino della modernità. Se vi capita, in una giornata di sole, perdete un po' di tempo ed imbarcatevi in uno di quei "boat" che fanno il giro dell'isola di Manhattan e quando vedrete le Torri Gemelle rimandarvi dalle immense vetrate di cristallo i riflessi di luce come fossero potentissimi ed immensi fari, e quando vedrete stagliarsi verso il cielo costruzioni dove l'acciaio ed il vetro sostituiscono in un indescrivibile luccichio i nostri mattoni ed il nostro cemento...bhè, allora non potrete che sentirvi prendere da un tonfo al cuore, da una emozione così forte che è difficile poter descrivere. Quei grattacieli che avete visto in tanti film, in tanti reportage televisivi, così grandi, così alti, vi sembreranno
dal vero ancora più grandi, ancora più alti. La Metropolitana, con quel suo insieme di lerciume e di fascino, vi sembrerà ancora più lercia ed ancora più affascinante. Le luci, le insegne della pubblicità in Times Square ti faranno sentire il protagonista di un film di fantascienza. Gli spettacoli a Broadway sono il risultato di tante altissime professionalità e capacità inventiva e vi daranno l'idea di quanto seriamente siano qui fatte le cose...e per un momento capirete che anche una città moderna, anzi: modernissima può stringervi la gola e farvi sussurrare: "Per di qui c'è passato Dio"!

Pino Costalunga
 

 

L'intervista a
Marco Cavalli
Lettore professionista con il gusto di trasmettere il piacere disinteressato della lettura

Leggere è un’arte, la si può apprendere e perfezionare, ma soprattutto la si può praticare per il puro piacere disinteressato di farlo. Un piacere antico e duraturo, come ci dice Marco Cavalli critico letterario, traduttore e consulente editoriale, che, attualmente, sta tenendo a Ossidiana corsi sulla lettura intitolati “Beato chi legge”.

La gente legge sempre di meno, l’editoria è in crisi permanente, la qualità dei libri si deteriora... Non è un contesto sfavorevole per promuovere un corso su come si legge un romanzo?
La verità è che la lettura di un romanzo è ormai un genere di attività più adatta a una civiltà rurale che a una civiltà industriale fortemente tecnologizzata. In base alla mia esperienza, la lettura comporta una sciente rassegnazione a tempi lunghi, allenamento della memoria, doti anche fisiche di resistenza, adattamento a un ritmo interno che non è il nostro, capacità di attendere che questo ritmo si assesti in noi, capacità di conservarlo intatto pur nella necessità di doverlo frazionare. Senza contare la gioia estetica di fare qualcosa di disinteressato, che non necessita né di alibi né di pretesti. Tutte abilità in contrasto con l’andamento della nostra cultura. Il mio compito consiste nel dare al lettore moderno l’opportunità di impadronirsi di questi requisiti, senza i quali è fisiologicamente impossibile poter leggere un’opera letteraria d’autore.
Tu sei critico letterario, traduttore e consulente editoriale. Come fai a conciliare le tue molte responsabilità di lavoro con la passione per la lettura?
Una grandissima parte del mio tempo la passo a escogitare espedienti che mi permettano di trasformare gli impegni di lavoro in altrettanti pretesti per leggere questo o quel libro che mi interessa. Per riuscire a leggere un romanzo che altrimenti sarebbe rimasto a far polvere sullo scaffale, sono arrivato perfino a impormi l’obbligo di tradurlo, il che è tutto dire. Spesso faccio in modo di poter intervistare uno scrittore solo per avere l’occasione di leggere i suoi libri senza sentirmi in colpa. Io non so mai cosa chiedere a uno scrittore, ma non potrei chiedere i suoi libri in libreria se non mettessi d’accordo la mia voglia di leggere con la non meno imperiosa volontà di sopravvivere. I giornali ai quali collaboro non mi lasciano parlare del libro se prima non parlo dello scrittore, e allora io, aggiustandomi addosso questa formula come un lenzuolo troppo corto, trovo il sistema di soddisfare me senza scontentare loro. Ma tutto questo non è niente a paragone della fatica che mi costa fare il mio mestiere come se si trattasse di un mestiere che non ha niente a che vedere con la lettura. Non è un paradosso: chi, come me, ha intrapreso la carriera di lettore professionista, deve guardarsi da una minaccia insidiosa, quella di finire con l’amare la lettura soprattutto perché, alla lunga, gli fa sbarcare il lunario e gli procura un qualche credito negli ambienti editoriali che contano.
Qual è il tuo metodo di insegnamento?
Per cominciare, io non insegno. Non mi riconosco nel significato tradizionale e edificante che si dà alla parola “insegnamento”. Il mio corso si propone, fra le altre cose, di smantellare i meccanismi mentali e i condizionamenti psicologici che ogni italiano scolarizzato fa scattare automaticamente quando si ritrova fra le mani un libro. Se davvero vuole tentare di fare un’esperienza di lettura disinteressata, un partecipante al mio corso deve riconoscere i suoi limiti, per quanto generoso sia il concetto che si è fatto di sé come lettore. Tutti gli italiani sono pessimi lettori, se non altro perché nessuno di loro ha mai goduto della libertà di non leggere. Costretto a leggere anche quando non vuole, soprattutto quando non vuole, l’italiano si rifà considerando la lettura un’esperienza sapienziale, intellettualistica, legata allo sviluppo dell’intelligenza, non all’affinamento del gusto. Al contrario dei demagoghi più o meno organici allo Stato, trovo normale la generale disaffezione della gente per la letteratura d’autore: nemmeno io riuscirei ad accostarmi a un romanzo se ogni volta dovessi chiedermi perché lo faccio. Non ci sono perché. I veri motivi per cui si legge, ammesso che esistano, vengono sempre a ruota della lettura. Se la precedono, non sono che scuse per ottenere dalla lettura qualcosa di diverso da quanto la lettura propone.
Gianni Gastaldon