OSSIDIANA TIME 17
newsletter semestrale di Ossidiana Centro Culturale e di Espressione

settembre 2002
nono anno



Quest’anno il corso “Beato chi legge“ presenta una importante novità
Alla ricerca del Proust Perduto

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Alzi la mano il lettore, incallito o impigrito o presunto, che non ha sognato una volta almeno in vita sua di aver letto fino in fondo i sette romanzi di cui si compone quella portentosa biblioteca d’umanità che ha per titolo Alla ricerca del tempo perduto. Lasciamo da parte i temerari e gli incoscienti che hanno il malvezzo di sciorinare in pubblico brani di Proust, tutta gente che non confesserà mai di essere ferma da un’eternità sulla facile soglia della citazione, varcata la quale si spalanca per costoro un baratro di nebbia solcato a intermittenza da bagliori di sensi di colpa.
Qui si sta parlando di leggere Proust – leggerlo tutto di fila, senza alibi di coscienza né frenesie di aggiornamento dell’ultima ora; leggerlo come non si fa mai, come nessuno ci ha mai incoraggiato a fare, in una full immersion sinfonistica, passionale, metodica. Chi ne ha il coraggio? O meglio: perché nessuno ci prova? E soprattutto: dove sta scritto che farlo sia impossibile? E se fosse invece opportuno, quando non addirittura piacevole?
Sulla scia della positiva accoglienza ottenuta dai corsi di lettura susseguitisi in questi ultimi due anni, l’associazione Ossidiana vara una iniziativa ambiziosa non meno che imperdibile, rivolta a quanti non intendono rinunciare al piacere di familiarizzare con una grande opera della letteratura che, nell’opinione corrente, è considerata monopolio del lettore professionista e professorale. Si tratta di compiere un viaggio attraverso la Ricerca del tempo perduto, viaggio di lettura, beninteso, i cui percorsi possono tranquillamente definirsi “multimediali”, dal momento che includono, come in un esclusivo pacchetto turistico:
l’ascolto di opere musicali citate nel romanzo proustiano o attinenti ad esso;
il ricorso a materiale iconografico che illustra la situazione delle belle arti dell’epoca di Proust;
la visita a mostre e esposizioni i cui percorsi di lettura sono attinenti al romanzo proustiano;
la recita attoriale di brani tratti da romanzi e opere letterarie che intersecano la Ricerca o che con essa hanno a che vedere;
la visione di materiale cinematografico ispirato più o meno da vicino al capolavoro proustiano.
Una incursione a 360 gradi in seno al grande romanzo di Proust rappresenta, tra le altre cose, una ghiotta occasione per approfondire la conoscenza della fase di crepuscolo di un secolo, l’Ottocento, che non voleva saperne di finire, e per fare i conti con la turbolenta aurora del Novecento, che si è da poco spento guadagnandosi l’appellativo di “Secolo Breve”. Per non parlare delle innumerevoli puntate in altrettante dimensioni della cultura europea il cui comune denominatore consiste nel trovarsi riunite entro la medesima rilegatura: quella della Ricerca del tempo perduto.
A ispirare il corso è la consapevolezza che l’arca di Noé letteraria costruita da Proust, lungi dall’essere quel pezzo da museo che siamo abituati a sentire incensare dai manuali letterari, sta di fronte a noi come uno strumento pronto a funzionare di nuovo alla minima sollecitazione. Peccato che la tentazione di suonarlo agisca sul lettore con una intensità sempre inferiore alla paura di non saperci fare, di sbagliare spartito, di non avere orecchio. Esiste, fra Proust e i suoi potenziali lettori, una innegabile corrente di attrazione che tuttavia si direbbe più una proprietà della calamita che una predisposizione altrui a esserne attratti. Eppure, persino chi non ha mai pensato o avuto modo di sfogliarla si sente in debito verso la Ricerca del tempo perduto, soffrendo l’incapacità di chiarire a se stesso in cosa consista di preciso questo debito.
Basterebbe visitare certe esposizioni anche recenti e affollate (Monet a Treviso, il Liberty italiano a Padova, la Duse a Venezia…) per accertarsi di come d’un tratto la mancanza di Proust si faccia sentire, simile al proditorio venir meno di un informatore insperato e instancabile. È’ abbastanza vero che senza la descrizione che ce ne dà Proust, alcuni preziosi motivi della pittura impressionista, il talento di una star del teatro dell’epoca e la bellezza un po’ gonfia dell’Art Nouveau ai suoi albori rischiano di rimanere lettera morta. Il recente revival della Belle Epoque nel panorama espositivo italiano dovrebbe costituire un propellente sufficiente a riconsiderare la lettura di Proust come qualcosa di meno aleatorio di una semplice opportunità regolarmente disattesa.
Le iscrizioni sono aperte…
Marco Cavalli


Pieno successo per allievi, maestri ed organizzatori
Ossidiana in mostra


Sabato 8 giugno, sala del sottoportico della Basilica Palladiana di Vicenza, inaugurazione della mostra di Ossidiana giunta alla sua quinta edizione: un centinaio di opere, tra oli, acquarelli e disegni, partecipazione calda e numerosa. Una festa piena di entusiasmo e soddisfazioni.
L’iniziativa, promossa da Ossidiana, patrocinata dall’Assessorato ai Servizi Culturali del Comune di Vicenza che ha gentilmente concesso l’uso delle sale espositive nel cuore della nostra bella città, e presenziata da Franca Pretto e Gianni Gastaldon, responsabili del Centro Culturale e di Espressione Ossidiana, si è svolta colorata ed allegra, come ogni anno al termine dei corsi.
Cinque anni fa, alla prima esposizione allo Studio Pozzan di Vicenza, la scuola di pittura e disegno di Ossidiana era già ben avviata sotto la guida artistica di Toni Vedù. Da allora molti altri allievi si sono aggiunti ed il livello artistico è andato sempre più crescendo, come testimoniano i positivi commenti e gli apprezzamenti del pubblico, locale e straniero, che per dieci giorni ha visitato numeroso l’ esposizione.
Con questa bella mostra si è anche voluto festeggiare il decimo anno di attività dell’Associazione fondata appunto dieci anni fa da Gianni Gastaldon, e da Franca Pretto, i quali hanno sempre seguito personalmente la crescita del Centro in tutta la sua evoluzione.
Anche quest’anno gli organizzatori hanno optato per un’ unica mostra finale riguardante le varie discipline grafico-pittoriche trattate nei corsi, per offrire così una visione più completa delle attività artistiche sviluppate durante l’anno.
Quindi non olio, acquarello e disegno da contrapporre tra loro, per fare confronti di merito, ma presentazione contemporanea di queste tecniche per riunire le esperienze e dare coesione alla scuola.
Per ogni disciplina sono state scelte le opere più significative a testimoniare il percorso specifico che ogni docente ha intrapreso assieme ai propri allievi.
Quarantatre gli acquarelli degli allievi di Toni Vedù, nostro docente e direttore artistico dal 1992, e di Laura Sarra, che nei loro corsi hanno insegnato ad usare l’acquarello al di fuori della maniera tradizionale. Opere non convenzionali quindi, affidate prevalentemente al colore ed alla tonalità ed in cui si è potuta notare una certa disinvoltura nell’uso della tecnica e notevoli sensibilità personali. Colore steso in un gioco di sinergie tra acqua, carta e tocchi di pennello, con cui gli allievi sono riusciti a dare, anche nelle tonalità più scure, un’impressione di trasparenza e di leggerezza.
Otto gli oli degli allievi di Miraldo Beghini che, per far apprendere gli strumenti base di questa tecnica, ha privilegiato, le nature morte ritratte dal vero. Così, l’osservazione diretta della realtà, sotto la guida del maestro, ha dato agli allievi l’opportunità di cimentarsi nella tecnica base dell’olio, allenandoli a rigore e disciplina, pur nel grande piacere dell’uso deciso e vivo del colore e nel sensibile gioco di luci ed ombre.
Nove i disegni degli allievi di Ivo Mosele: due curati e significativi esempi dal corso di “Disegno base” in cui gli allievi hanno studiato le regole principali del Disegno, come la composizione, il segno, il gusto e la ricerca della forma, anche attraverso la copia dei lavori dei maestri dell’arte, e sette armoniosi quanto interessanti disegni dal corso “Disegno di figura con modella”: per motivi di spazio, si sono scelte opere di dimensioni ridotte, anche con risalto alla ricerca del particolare, mentre durante il laboratorio si era analizzata l’intera figura umana.
In mostra anche gli oli di tredici allievi di Annamaria Trevisan, scelti fra tutti coloro che, avendo frequentato parecchi corsi con la docente, hanno avuto modo di seguire quest’anno un percorso indirizzato a vivere esperienze pittoriche del XX secolo, come stimolo ed esempio, individuando via via la propria naturale propensione poetica. L’entusiasmo e l’orgoglio che l’insegnante esprime nei confronti di questi allievi è dovuto alla forza delle loro scelte interpretative che ha permesso loro una personale affermazione stilistica.
I cinque docenti, che hanno esposto anche una propria opera , durante i corsi hanno messo a disposizione le loro conoscenze tecniche ed artistiche, la loro esperienza maturata in tanti anni di attività artistica e di insegnamento, ma hanno anche saputo far emergere da ogni allievo talento e sensibilità personali.
Gli autori/allievi, che hanno dato forma concreta alla loro passione artistica attraverso un’attività piacevolissima come quella della pittura o del disegno, nelle opere esposte hanno saputo dimostrare notevoli gusto e capacità.
Con queste premesse si apre il nuovo anno di corsi a Ossidiana.
La Redazione


L'intervista a
Laura Curino
Insegna a raccontare, ……ma anche ad ascoltare

Ossidiana 6 luglio 2002, ore 22.00. Si è appena concluso il laboratorio “Facciamo che io ero” con Laura Curino, uno dei workshop estivi per il teatro, “Al di là del mare”, sesta edizione.
Gli allievi, nonostante la stanchezza di una giornata intensa hanno occhi particolari, le espressioni di quando si è stati nutriti bene, con cura, con qualità, abbondanza e, soprattutto, con amore.
Anche Laura è stanca, ha parlato, diretto, precisato, guidato, spiegato, osservato ed ascoltato tutto il giorno…., ma non è stanca di raccontare, e, forza della natura quale è, già mi propone il tema per nuovo progetto a Ossidiana di cui le parlavo ieri sera.
Così, mentre ce ne andiamo a cena, ne approfitto affinché possa raccontare anche ai nostri lettori:


Da quanto tempo racconti?
Da quando rifilavo alle altre bambine le storie che mi raccontava mia nonna dopo averle “rimaneggiate” un po’, naturalmente.
Cioè?
Se mia nonna raccontava vecchie storie di famiglia, io trasformavo le zie in principesse ed era fatta.
E quando lei raccontava favole?
Allora riciclavo quelle, magari dedicandomi a precisare il linguaggio con degli “si invaghì”, “disse”, “fanciulla”, “destriero”.
Perché?
Perché quelle, secondo me, erano favole da vera favola.
Lo pensi ancora?
Penso che il linguaggio preciso, sia verbale che fisico, decide di una buona narrazione quanto la forza della storia. Se anche hai una buona storia ma la racconti male, c’è poco da fare, nessuno ti ascolta più.
I personaggi?
I personaggi sono armi a doppio taglio: quando riesci a disegnarli bene si assumono il ruolo di buone guide, compagni d’avventura nel viaggio immaginario che si svolge fra platea e palco. Se sono troppi, mal caratterizzati, confusi o sovrapposti producono lo stesso confuso rumore di una folla vociante. La mente di chi ascolta si stanca e si stacca, volandosene per conto suo in altri silenzi.
Nei tuoi laboratori cosa insegni?
A raccontare storie, magari altrui, senza rinunciare alla propria.
E le tecniche?
Quelle anche, certo, vanno imparate molto bene, sperando di potersene liberare il prima possibile.
Cioè?
Cioè quando si arriva davanti al pubblico bisognerebbe essersi liberati dal problema “cosa racconto”, e “come racconto”, essere diventati ormai così bravi da non preoccuparsi più assolutamente di se stessi, ma solo dell’essere lì in quel momento con quel pubblico. Nient’altro.
Bisogna lavorare molto “prima”, e poi abbandonarsi con fiducia al lavoro fatto, per dedicarsi a un nuovo compito, anche più difficile: l’ascolto.
Ascoltare il pubblico?
Esattamente. E’ molto più complicato che il semplice raccontare.
Si può imparare o è una dote innata?
L’una e l’altra cosa. La nonna, la mamma, non vanno mica a scuola di narrazione, eppure ci sono mamme, nonne, zie, tate, che sanno raccontare benissimo. Si fanno guidare dalla conoscenza dei loro bambini e dall’amore. Il narratore deve sapersi guidare da sé, anche quando non sa proprio nulla del suo pubblico, e dunque non può amarlo di quella stessa specie d’amore.
Lì interviene la tecnica, soprattutto le tecniche d’ascolto, che permettono di affinare le capacità: di capire di quale specie di pubblico si tratterà stasera.
E agli allievi dei tuoi laboratori cosa insegni?
A rendersi conto di quel che c’è da imparare. Cerco di mettere gli allievi in quella situazione di disponibilità ad imparare. Cominciano con me e poi possono continuare da soli, o con altri maestri, o ancora con me. Ma quel che importa è capire che cos’ho e quel che mi manca.
Dopo quanto tempo un narratore è “pronto” per raccontare?
Subito, da adesso. Quando abbiamo una buona storia siamo felici di raccontarla, ci appassioniamo, troviamo naturalmente i toni, i gesti, le parole. Quel che è difficile è imparare a ripetere, ogni volta con la stessa forza e la stessa gioia. Per far questo ci vogliono anni.
A Ossidiana durante quest’anno avremo un nuovo progetto con te. Come imposterai il lavoro?
In tre diversi incontri lavoreremo su tre diversi tipi di racconto: quello a braccio, all’impronta, e impareremo a fissare alcune coordinate che rendano solida l’impalcatura su cui poi si procede per improvvisazione.
Poi lavoreremo sul racconto scritto, e proveremo a fissare sulla carta brevi prove narrative a partire dalle nostre memorie individuali o culturali.
Infine cercheremo, utilizzando brevi testi a memoria, di indagare le forme con cui la ripetizione può essere sempre vera, vitale, efficace.
A chi sono diretti i tuoi laboratori?
A tutti quelli che hanno qualcosa da dire, voglia di raccontare e anche…, di ascoltare.

Quindi avremo di nuovo con noi Laura Curino, autrice ed attrice in numerosi spettacoli, tra i fondatori del Laboratorio Teatro Settimo, docente e formatrice di grande esperienza, che dopo averci insegnato negli anni precedenti le tecniche di narrazione in “Raccontare il teatro”, la lettura ed interpretazione in “Ti dico una poesia”, ed i primi passi verso un personaggio in “Facciamo che io ero”, ora ci guiderà nel Racconto in “Passaggi di stato”, laboratorio di narrazione in tre weekend:
- Improvviso un racconto.
- Scrivo un racconto.
- Recito un racconto.
Tre incontri collegati dal comune denominatore del Racconto e da un tema che li attraversa: la percezione del tempo, del suo passaggio, i rituali di passaggio fra l’infanzia, l’adolescenza e la giovinezza.
Gianni Gastaldon