Ossidiana
6 luglio 2002, ore 22.00. Si è appena concluso il laboratorio
“Facciamo che io ero” con Laura Curino, uno dei workshop
estivi per il teatro, “Al di là del mare”, sesta
edizione.
Gli allievi, nonostante la stanchezza di una giornata intensa hanno
occhi particolari, le espressioni di quando si è stati nutriti
bene, con cura, con qualità, abbondanza e, soprattutto, con amore.
Anche Laura è stanca, ha parlato, diretto, precisato, guidato,
spiegato, osservato ed ascoltato tutto il giorno…., ma non è
stanca di raccontare, e, forza della natura quale è, già
mi propone il tema per nuovo progetto a Ossidiana di cui le parlavo
ieri sera.
Così, mentre ce ne andiamo a cena, ne approfitto affinché
possa raccontare anche ai nostri lettori:
Da quanto tempo racconti?
Da quando rifilavo alle altre bambine le storie che mi raccontava mia
nonna dopo averle “rimaneggiate” un po’, naturalmente.
Cioè?
Se mia nonna raccontava vecchie storie di famiglia, io trasformavo le
zie in principesse ed era fatta.
E quando lei raccontava favole?
Allora riciclavo quelle, magari dedicandomi a precisare il linguaggio
con degli “si invaghì”, “disse”, “fanciulla”,
“destriero”.
Perché?
Perché quelle, secondo me, erano favole da vera favola.
Lo pensi ancora?
Penso che il linguaggio preciso, sia verbale che fisico, decide di una
buona narrazione quanto la forza della storia. Se anche hai una buona
storia ma la racconti male, c’è poco da fare, nessuno ti
ascolta più.
I personaggi?
I personaggi sono armi a doppio taglio: quando riesci a disegnarli bene
si assumono il ruolo di buone guide, compagni d’avventura nel
viaggio immaginario che si svolge fra platea e palco. Se sono troppi,
mal caratterizzati, confusi o sovrapposti producono lo stesso confuso
rumore di una folla vociante. La mente di chi ascolta si stanca e si
stacca, volandosene per conto suo in altri silenzi.
Nei tuoi laboratori cosa insegni?
A raccontare storie, magari altrui, senza rinunciare alla propria.
E le tecniche?
Quelle anche, certo, vanno imparate molto bene, sperando di potersene
liberare il prima possibile.
Cioè?
Cioè quando si arriva davanti al pubblico bisognerebbe essersi
liberati dal problema “cosa racconto”, e “come racconto”,
essere diventati ormai così bravi da non preoccuparsi più
assolutamente di se stessi, ma solo dell’essere lì in quel
momento con quel pubblico. Nient’altro.
Bisogna lavorare molto “prima”, e poi abbandonarsi con fiducia
al lavoro fatto, per dedicarsi a un nuovo compito, anche più
difficile: l’ascolto.
Ascoltare il pubblico?
Esattamente. E’ molto più complicato che il semplice raccontare.
Si può imparare o è una dote innata?
L’una e l’altra cosa. La nonna, la mamma, non vanno mica
a scuola di narrazione, eppure ci sono mamme, nonne, zie, tate, che
sanno raccontare benissimo. Si fanno guidare dalla conoscenza dei loro
bambini e dall’amore. Il narratore deve sapersi guidare da sé,
anche quando non sa proprio nulla del suo pubblico, e dunque non può
amarlo di quella stessa specie d’amore.
Lì interviene la tecnica, soprattutto le tecniche d’ascolto,
che permettono di affinare le capacità: di capire di quale specie
di pubblico si tratterà stasera.
E agli allievi dei tuoi laboratori cosa insegni?
A rendersi conto di quel che c’è da imparare. Cerco di
mettere gli allievi in quella situazione di disponibilità ad
imparare. Cominciano con me e poi possono continuare da soli, o con
altri maestri, o ancora con me. Ma quel che importa è capire
che cos’ho e quel che mi manca.
Dopo quanto tempo un narratore è “pronto”
per raccontare?
Subito, da adesso. Quando abbiamo una buona storia siamo felici di raccontarla,
ci appassioniamo, troviamo naturalmente i toni, i gesti, le parole.
Quel che è difficile è imparare a ripetere, ogni volta
con la stessa forza e la stessa gioia. Per far questo ci vogliono anni.
A Ossidiana durante quest’anno avremo un nuovo progetto
con te. Come imposterai il lavoro?
In tre diversi incontri lavoreremo su tre diversi tipi di racconto:
quello a braccio, all’impronta, e impareremo a fissare alcune
coordinate che rendano solida l’impalcatura su cui poi si procede
per improvvisazione.
Poi lavoreremo sul racconto scritto, e proveremo a fissare sulla carta
brevi prove narrative a partire dalle nostre memorie individuali o culturali.
Infine cercheremo, utilizzando brevi testi a memoria, di indagare le
forme con cui la ripetizione può essere sempre vera, vitale,
efficace.
A chi sono diretti i tuoi laboratori?
A tutti quelli che hanno qualcosa da dire, voglia di raccontare e anche…,
di ascoltare.
Quindi avremo
di nuovo con noi Laura Curino, autrice ed attrice in numerosi spettacoli,
tra i fondatori del Laboratorio Teatro Settimo, docente e formatrice
di grande esperienza, che dopo averci insegnato negli anni precedenti
le tecniche di narrazione in “Raccontare il teatro”, la
lettura ed interpretazione in “Ti dico una poesia”, ed i
primi passi verso un personaggio in “Facciamo che io ero”,
ora ci guiderà nel Racconto in “Passaggi di stato”,
laboratorio di narrazione in tre weekend:
- Improvviso un racconto.
- Scrivo un racconto.
- Recito un racconto.
Tre incontri collegati dal comune denominatore del Racconto e da un
tema che li attraversa: la percezione del tempo, del suo passaggio,
i rituali di passaggio fra l’infanzia, l’adolescenza e la
giovinezza.
Gianni Gastaldon
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